lunedì 26 settembre 2011

Sedotti e amati - Norcia-Assisi 2011

Succede qualcosa di speciale nel percorso che da Norcia ci porta ad Assisi. Potremmo dire che si parte in un modo e si arriva trasformati alla meta; potremmo dire che è un'esperienza unica. Ma su questa strada arriveremmo a credere che il campo è una parentesi, che il Norcia-Assisi è l'ultimo campo, che poi c'è la vita seria, quella vera con tutti gli ammennicoli del caso. Non è vero!!!

Abbiamo camminato più di 80km, Monastero in movimento con don Mario che ci seguiva confessando senza sosta. Abbiamo pregato, fatto incontri, riso e mangiato. Classico schema dei campi. Tutto come sempre per quei nove giorni d'estate e poi chi s'è visto s'è visto. Non è vero!!!

Il Norcia-Assisi non è un'aggiunta d'acqua alla vasca dei pesci, è un'onda del mare aperto; è un campo inquieto, perché inquietanti sono le domande che arriviamo a porci, esigenti le richieste del percorso che si compie, pauroso per le altezze a cui mira. Eppure si staglia lì, come i monti che dal basso dobbiamo salire senza saperne il senso e la meta. Siamo partiti con domande fondamentali sul nostro futuro, sui nostri sogni, annoiati da un Cielo che è lontano e incomprensibile, favoletta per i bimbi del catechismo. Nei dubbi della nostra vita, però, seguendo san Benedetto e poi san Francesco, abbiamo imparato come affrontare le nostre paure nella bellezza dell'incontro con Dio. Abbiamo sperimentato una vita nuova, secondo l'obbedienza, la castità e la povertà, non per essere diversi da noi stessi, ma per diventare sempre più profondamente noi stessi. Abbiamo vissuto che «non dobbiamo avere paura» di «aprire le nostre porte a Cristo» (Giovanni Paolo II).

In questo senso, il campo non può essere una parentesi. Perché siamo stati sedotti da Dio, «e ci siamo lasciati sedurre» (Ger 20,7) (come abbiamo cantato di fronte alla tomba di san Francesco, con tanto vigore da far tremare quella magnifica chiesa), ci siamo sentiti amati di un amore che ha acceso un fuoco incontenibile in noi, una gioia con cui affrontare i dubbi e vivere in pienezza. Tanto che la domanda del campo, da “come posso essere felice?”, è diventata, “Signore, cosa vuoi che io faccia?”. Perché in quell'incontro c'è la vita, c'è la nostra felicità personale. La fede, infatti, non è uno schema fisso, sterile, freddo. Al contrario è una relazione vera in cui, finalmente, possiamo essere noi stessi senza più carpire l'affetto altrui, ma sperimentando la grazia di Dio, donare il nostro amore per realizzarci.

Grazie a quel dono, non abbiamo più timore di essere noi stessi; non abbiamo timore di aprirci a Dio. Di sperimentare una vita distante dai canoni dell'efficienza macchinale o della durezza crudele di un mondo conformato a criteri inumani. Con san Francesco abbiamo visto che la povertà libera dalla schiavitù dei beni: anche il cellulare può non servire, e si resiste alla tentazione della coca-cola. Che l'obbedienza è non aver paura di farsi piccoli e, in quel gesto, aderire completamente a Dio e somigliargli: obbedire a lui non per contrariarci, ma per realizzare con profitti inattesi quei doni che abbiamo. L'obbedienza è grazia, dona di fare; dona di costruire il regno di Dio. Che la castità non è una continenza sessuale (un enorme grazie a Federica e Simone per quell'incontro presso la grotta del beato Alano), bensì un modo libero di relazionarsi con gli altri. Paletti di vita; qualcuno dirà costrizioni. Sappiamo che non è così.

Se da un lato vi sono delle difficoltà – come dire, il cammino è quasi all'inizio: i nostri desideri sono profondi e così dobbiamo vivere: approfondendo le nostre domande e le nostre ricerche... – dall'altro ne abbiamo già sperimentato i benefici: la gratitudine e l'assenza di violenza. E scusatemi se è poco, in una società ingrata, meschina e violenta. E ne abbiamo sperimentato anche le difficoltà nella grotta del nostro cuore, perché di venerdì abbiamo provato le durezza di questa segnaletica: l'incomprensibilità dell'obbedienza nel racconto della suora, la tentazione dei negozi di souvenir e alcolici contro l'essenzialità, la distanza dalla castità di linguaggi infarciti di parolacce e nella disattenzione agli altri.
Aver sperimentato una soddisfazione inedita, «sentimenti ed emozioni mai provate, conosciute solo per sentito dire» (Nico), non sono esperienze di una vita che si esaurisce, e anche le difficoltà si affrontano assieme e si superano. Con una guida, magari. Perché gli incontri, l'abbiamo visto, cambiano la vita. L'hanno cambiata a san Benedetto e a san Francesco: avevano sogni di grandezza, rischiavano di perderli e perdersi, hanno incontrato e ascoltato il Signore e nella fede hanno percorso la loro strada diventando quei santi che ancora oggi preghiamo: realizzando cose inattese, fino a giungere alla morte cantando.

Con una guida come può essere fra Massimo (Michi, hai capito come fare il nodo al laccio?), che abbiamo ascoltato ad occhi, orecchie e bocca aperta per due ore e quaranta minuti, mentre ci parlava dell'amicizia, dell'incontro, delle relazioni, della vita, dei suoi rischi, solitudini, falsità e difficoltà. In un incontro bellissssimo, durato non quanto la Messa di don Mario, ma come le due ore e quaranta di preghiera e ringraziamento a Gesù nell'ultima nottata del campo, in piazza S. Rufino. In mezzo a una sincerità e un'amicizia vera e sentita, commovente; che si contrapponeva esemplarmente alla serata in discoteca che aveva ravvivato e acceso la Rocca sopra di noi. Noi e loro. Non perché sia sbagliato andare in discoteca, bensì per la differenza che c'è tra le due cose e che nella nostra vita vera proviamo.

Perché è possibile vivere il Vangelo nel mondo attraverso il servizio a Cristo, andando anche a ballare, pur restando di Cristo: veri e liberi, casti e felici (parole con nuovi significati). Perché si può vivere la Gioia piena tutti i giorni come in quell'esperienza di comunità e convivialità. Ora possiamo rispondere: chi ci separerà da questo amore?

Difficoltà ce ne sono, ma alcune le abbiamo affrontate e superate assieme. Avevamo la voglia di Mac e un giorno abbiamo fatto hamburger e 8 kg di patatine per tutti. Volevamo cibi raffinati e abbiamo fatto fagottini di sushi all'italiana: mortazza e briciole di pane. Volevamo le grigliate di Monte Donato e abbiamo acceso un fuoco che ha illuminato i nostri cammini con la pancia piena di mele cotte alla cioccolata. Abbiamo creato una cassa in cui ogni volta che avevamo voglia di qualcosa mettevamo quegli spiccioli che risparmiavamo; accumulando 140 euro da destinare ad una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII per finanziare l'ingrandimento di una scuola per bambini costruita da un disabile conosciuto da Maria Chiara nel suo viaggio in Tanzania.

Abbiamo visto il cielo stellato e conosciuto la nostra spiritualità interiore. Un amore ardente.
Ormai lo sappiamo: nulla ci separerà, neanche i pensieri falsi. Con una guida, una comunità, con quell'amore. Sta a noi esserne consapevoli: ragazzi, è ora: zo da let!

lunedì 22 agosto 2011

La Chiesa e le tasse: un invito ad informarsi...

Alcune informazioni interessanti: due articoli e un video...

Agevolazioni, ecco la verità:
Ormai è purtroppo consuetudine che almeno un paio di volte l’anno parta una pressante campagna mediatica contro i presunti privilegi di cui godrebbe la Chiesa cattolica. Le occasioni vengono spesso create ad arte con riferimento ad uno specifico aspetto (molto spesso l’esenzione dall’Ici), ma sono poi lo spunto per trattare polemicamente questioni molto diverse tra loro (8 per mille, agevolazioni fiscali, contributi alle attività). In questo modo si fa certo molto clamore, ma sicuramente poca corretta informazione. Cerchiamo quindi di fare chiarezza sul tema delle agevolazioni fiscali, nello specifico l’esenzione dall’Ici e la riduzione dell’Ires.

Prima di esaminare le norme agevolative va però denunziata la duplice scorrettezza che ancora una volta contraddistingue le critiche. Per un verso si insiste ad indicare tra i principali destinatari dei benefici "il Vaticano" (che, tra l’altro, essendo uno Stato estero, non è soggetto all’ordinamento tributario italiano), o "la Conferenza episcopale italiana" (che è solo uno tra le migliaia di enti ecclesiastici e non certo il più conosciuto, neanche presso i credenti), mentre non vengono quasi mai citati i tanti enti della Chiesa cattolica diffusi sul territorio che i cittadini – compresi molti non praticanti – conoscono e apprezzano (come, ad esempio, le parrocchie). Inoltre si presentano le agevolazioni come se riguardassero solo gli enti ecclesiastici e non anche un’ampia platea di enti appartenenti al mondo dei cosiddetti enti non profit.

Va inoltre segnalato come le stime sugli importi che corrisponderebbero alle agevolazioni siano del tutto prive di dati dimostrativi e sospettosamente alte.

Vediamo ora brevemente le agevolazioni in questione.

L’ESENZIONE ICI
La norma contestata è quella che esenta gli immobili nei quali gli enti non commerciali svolgono alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale, cioè quelli «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985. n. 222 [le attività di religione o di culto]» (art. 7, c. 1, lett. i, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504). La norma, quindi, richiede il contestuale verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività individuate; inoltre, come stabilito dopo le modifiche apportate al testo originario, l’esenzione «si intende applicabile alle attività [...] che non abbiano esclusivamente natura commerciale». (cfr. c. 2-bis dell’art. 7 del D.L.. n. 203/2005, come riformulato dall’art. 39 del D.L. 223/2006).
Partendo dal dato normativo è facile verificare come una parte gran parte delle affermazioni riportate insistentemente sull’argomento siano del tutto errate. Non è vero che l’esenzione sia destinata a favorire solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica, dal momento che si applica a tutti gli enti non commerciali, categoria nella quale gli enti ecclesiastici rientrano esattamente come molti altri soggetti del mondo del cosiddetto non profit come, ad esempio, le associazioni sportive dilettantistiche e quelle di promozione sociale, le organizzazioni di volontariato e le onlus, le fondazioni e le pro-loco, le organizzazioni non governative e gli enti pubblici territoriali, le aziende sanitarie e gli istituti previdenziali.
Un’ulteriore inesattezza riguarda la delimitazione della tipologia di immobili oggetto di agevolazione: l’esenzione non riguarda tutti gli immobili di proprietà degli enti non commerciali, ma solo quelli destinati – per intero – allo svolgimento delle attività che la legge prevede. In tutti gli altri casi (librerie, ristoranti, hotel, negozi e per le abitazioni concesse in locazione) l’imposta è dovuta.Inoltre, esattamente all’opposto di quanto si continua a sostenere, per usufruire dell’esenzione tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente; se in un’unità immobiliare si svolge un’attività rientrante nell’elenco unitamente ad un’attività che, invece, non vi figura, tutto l’immobile perde l’esenzione. Risulta così evidente l’assoluta falsità della denuncia che gli enti ecclesiastici "estorcano" l’esenzione inserendo una cappellina in un immobile non esente. In questi casi, infatti, l’intero immobile va assoggettato all’imposta, compresa la cappellina che, autonomamente considerata, avrebbe invece diritto all’esenzione.

LO SCONTO IRES
Un analogo discorso può essere fatto a proposito della riduzione dell’Ires (l’imposta sui redditi delle persone giuridiche): si tratta di un’agevolazione che riguarda molti enti non profit; l’articolo 6 del D.P.R. 601 del 1973 la prevede infatti, oltre che per gli enti ecclesiastici, per:
1) gli enti di assistenza sociale, le società di mutuo soccorso, gli enti ospedalieri, gli enti di assistenza e beneficenza;
2) gli istituti di istruzione e gli istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, i corpi scientifici, le accademie, le fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali.
3) gli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e loro consorzi. Hanno inoltre diritto all’aliquota agevolata anche le ex Ipab, come prevede l’art. 4, comma 2 del D.Lgs. 207 del 2001.
Si può notare che si tratta di soggetti caratterizzati dalla rilevanza sociale delle loro attività in favore della collettività, circostanza che giustifica, anche sotto il profilo costituzionale, la previsione di agevolazioni fiscali.

IN CONCLUSIONE
Da ultimo una riflessione sulla necessità di risanare il bilancio pubblico anche ricorrendo all’eliminazione delle agevolazioni in questione che, come abbiamo visto, riguardano una vasta platea di soggetti non profit. Andrebbe considerato che la rinuncia al gettito da parte dello Stato (o dei comuni nel caso dell’Ici) non costituisce una privazione per la collettività, ma il sostegno a una meritoria opera i cui benefici ricadono innanzitutto sulla stessa comunità e che i bisogni a cui gli enti non riuscirebbero più a dare risposta dovrebbero essere, in un modo o nell’altro soddisfatti dall’ente pubblico, con aggravio dei conti pubblici.
Patrizia Clementi

Quelli che l'Ici e la Chiesa Cattolica:
Quelli che. Quelli che la Chiesa cattolica torni a pagare l’Ici.
Quelli che non sanno che la Chiesa paga già l’Ici, per gli immobili dati in affitto e le strutture alberghiere. Quelli che lo sanno benissimo ma fingono di non saperlo.
Quelli che vorrebbero far pagare l’Ici a chi ancora non la paga, ossia alle mense Caritas, agli oratori, alle sacrestie, ai monasteri… perché sono soltanto loro che ancora non pagano.
Quelli che sul loro giornalone scrivono in 500mila copie che Chiaravalle, alle porte di Milano, è un resort cinque stelle a 300 euro a botta. Quelli che ci credono. Quelli che sanno bene che Chiaravalle è un normale monastero cistercense che per una celletta della foresteria (vedi la foto) e tre pasti frugali al dì chiede un’offerta di 40 euro, ma se uno non li ha, pazienza. Quelli che quando Avvenire smaschera la fandonia si guardano bene dal pubblicare una rettifica, così i loro lettori continuano a credere che Chiaravalle sia un resort, la Chiesa ci lucri e s’indignano.
Quelli che sul loro giornalone da 500 mila copie denunciano con veemenza che la Chiesa italiana nasconde il rendiconto dell’8 per mille. Quelli che, e sono gli stessi, da 20 anni pubblicano il rendiconto in una loro pagina acquistata dalla Chiesa, incassano i soldi e, una volta smascherati, si guardano bene dal correggere la fandonia.
Quelli che la Chiesa possiede il 30 per cento di tutti gli immobili in tutta Italia. Quelli che Luciano Moggi è il testimonial della Chiesa italiana. Quelli che revochiamo per cinque anni il Concordato. Quelli che sanno bene che 8 per mille, esenzione dall’Ici e dimezzamento dell’Ires non sono privilegi, ma lo scrivono ugualmente.
Quelli che sanno bene che all’8 per mille concorrono altre sette confessioni religiose diverse e pure lo Stato, ma evitano di ricordarlo, come se concorresse soltanto la Chiesa cattolica, che riceve quanto i contribuenti italiani le attribuiscono, e se i contribuenti non firmassero più per lei non riceverebbe niente, quindi non ha alcuna garanzia.
Quelli che sanno bene che l’esenzione Ici per gli immobili riguarda tutti, assolutamente tutti gli enti senza scopo di lucro, purché utilizzati per alcune attività di rilevanza sociale, non solo quelli religiosi. Quelli che sanno bene che la riduzione del 50 per cento sull’imposta sul reddito delle società (Ires) si applica agli enti religiosi in quanto questi sono equiparati agli enti aventi fine di beneficenza e di istruzione, e la riduzione non vale per le attività commerciali.
Quelli che sanno tutto questo ma fanno il pesce in barile e lasciano che il popolo italiano se la beva. Quelli che su Facebook scrivono che il 97 per cento della quota 8 per mille dello Stato torna alla Chiesa cattolica. Quelli che più la spari grossa più sei credibile.
Quelli che, non appena il cardinale Bagnasco denuncia la piaga dell’evasione fiscale, attaccano con virulenza la Chiesa cattolica. Quelli che quando scoppia la crisi e la gente mugugna e si agita, cercano un nemico, un mostro, il colpevole del disagio e lo additano alla rabbia popolare.
Quelli che creano il 'mostro' verso cui indirizzare la rabbia popolare per poter governare il malcontento, come fanno tutte le dittature. Quelli che tante panzane messe in fila e ripetute ossessivamente diventano una verità. E infine quelli che, e siamo noi, troppe coincidenze non sono una coincidenza.
Umberto Folena

Un video:

sabato 20 agosto 2011

I giovani e la razionalità del sacro

"Si fa un gran parlare di giovani. E', in fondo, la forma retorica più antica e consolidata che si conosca. Tanto è vero che si sprecano sempre affermazioni solenni e proverbilai quando non si comprende nulla o quasi di un certo fenomeno. Ben più complesso diviene, invece, il discorso non appena si vuole parlare realmente con cognizione di causa delle nuove generazioni in un contesto, come quello attuale, nel quale non sembra sia più possibile restare nei limiti di una sola cultura o di una specifica civiltà determinata.
Alcuni eventi sono una buona occasione per farlo. Il più espressivo del protagonismo peculiare dei ragazzi è certamente la Giornata Mondiale della Gioventù che si sta svolgendo in questi giorni a Madrid alla presenza di papa Benedetto XVI. Ho avuto modo di sperimentare personalmente di cosa si tratti in uttte le occasioni in cui ho accompagnato Giovanni Paolo II dai primi energici appuntamenti fino agli ultimi più faticosi. E poi anche Benedetto XVI in Germania nel 2005. E' stupefacente che dopo 28 anni non solo non è finita la spinta partecipativa, ma il coinvolgimento sembra perfino aumentato. Quest'anno, il rpofilo essenziale dei partecipanti si esprime così: età media intorno ai 22 anni, il 48% studia, il 40% lavora, il 6% è dsoccupato; uno su dieci è già sposato, il 55% vive in casa coi genitori. Provengono da 187 paesi diversi. La cifra totale dei partecipanti supererà il milione di persone.

Il dato è fin troppo chiaro per essere commentato. E' un campione rappresentativo, vasto ed eterogenero di persone normali. D'altronde, anche in altre occasioni diverse vediamo i giovani raccogliersi insieme per qualche scopo, senza particolari segni distintivi. E' il caso, ad esempio, delle propteste inglesi che hanno messo a ferro e fuoco la città di Londra, o della Primavera araba nel Magreb. Giovani, sempre giovani, differenti gli uni dagli altri, che agiscono in modo peculiare e per motivi comuni imparagonabili. Ma sempre e solo giovani, senza specifiche qualità.

Ecco che, leggendo ogni volta le statistiche, si rimane insoddisfatti, sprovvisti di una spiegazione valida sulle ragioni per cui non un bambino o un adulto, ma un ragazzo non più adolescente decida di dedicare alcuni giorni della proprio vita a stare con altri coetanei che non conosce, in una città che non gli è familiare, a vivere un evento di natura religiosa.
Il citato paragone può, in questo senso, aiutare a capire. I movimenti di ribellione britannica, sono espressione di un moral collapse come ha detto in modo sintetico il premier inglese David Cameron. Una paradossale assenza di finalità e d principi che si traduce in un nichilismo sconfinato. Distruggere, lo si apisce bene, è la quintessenza di una rabbia che trova soddisfazione unicamente nella violenza urbana e nel saccheggiare negozi. In quel caso siamo agli antipodi di Madrid, davanti ad un malessere generazionale che pone interrgoativi duri e chiare responsabilità; direi soprattutto a noi adulti.
Ma anche le rivolte poltiiche in Africa sono animate da una simile spinta generazionele, questa volta positiva. Anche lì sono i giovani a farla da protagonista, non volendo più accettare e tollerare di vivere al di sotto di loro stessi, delle proprie capacità, possibilità, libertà. E' lampante che rispetto al primo caso non è il nichilismo a spingere all'azione, ma una giusta volontà di cambiamneto, un anelito civile a riempire il vuoro sociale in cui si è costretti a vivere.

Paragonare a queste agitazioni di massa, quanto spinge giovani di tutto il mondo a stare alcuni giorni con il Pap è il desiderio di fare un'esperienza opposta e decisiva rispetto ad ogni altra. Anche se, a ben vedere, vi è una medesima opzione motivazionale forte, alternativa al restarsene a casa o al mare. Mi ricordo che proprio in occasione della giornata dei giovani a Roma nel Giubileo del 2000 Indro Montanelli scrisse che una spiegazione, in casi del genere non la dà né la sociologia, né la demografia: bisognerebbe entrare nell'ambito della religione. O esiste un fatto che chiamiamo sacro, oppure in questi casi non si motiva né si capisce niente di niente.

Logicamente, resta particolarmente importante chiarire cosa s'intenda qui con fatto religioso. Perché alcuni dei ragazzi che partecipano alla Giornata non sono credenti; allo stesso modo che non tutti coloro che rimpono le vetrine sono criminali o tutti colore che gridano libertà sono democratici. Mi ricordo di aver indagato in passato sulle ragioni di simile affluenza e di aver trovate delle risposte insolite ma coincidenti tra i ragazzi stessi che vi partecipavano. Alcuni mi rispondevano che nessuno, in società, a scuola o in famiglia, era in grado di dire qualcosa di simile a quello che stavano ascoltando. Alcuni confessavano il dubbio se sarebbero stati in grado di vivere sempre al libello etico che il Papa chiedeva loro, anche se si sentivano per questo, ancora di più, chiamati ad esserci. Tutti con disarmante semplicità affermavano: "ma lui, il papa, ha ragione". Cioè, dice il vero.

Comrpendere giornate intense di preghiera e ascolto, non rpive di sacrifici per i partecipanti significa andare al cuore dell'esperienza religiosa. Richiede di superare in modo drastico quel relativismo imperante che spinge a fare solo ciò che le proprie pulsioni - anche la noia - impongono. Davanti a sé e accanto a sé c'è una ragione che è vera, una spiegazione umana che garantisce di troare la proprio identità, oltre il proprio nulla e oltre i miraggi del conbenzionalismo insipido con cui spesso si presenta la politica.

D'altronde, tale spinta forte a afferrare con il pensiero, il core e la volontà il senso della vita, è l'essenza della sana ribellione che si chiama "vita interiore" (ecco perché leggere!!!). L'alternativa, non a caso, è il fondamentalismo irrazionale (vedi fatti Norvegesi) e il relativismo cinico, ma mai, in nessun modo, l'esperienza spirituale. Perciò, in definitiva, ad attirare tanti giovani a radunarsi è unicamente la razionalità del sacro: un desiderio di ascoltare la erità e di far parlare la coscienza, che solo può soddisfare le fresche aspirazioni di un giovane ad oltrepassare i circoscritti confini determinati dello spazio e del tempo. E quelli ancora più determinati della banalità...

J. Navarro-Valls, su La Repubblica

mercoledì 3 agosto 2011

Aspirare ai carismi più grandi? (1Cor 12,31) - Nota in preparazione del campo 26 ago/3 sett

Il campo Norcia Assisi è fondato su due principi fondamentali: l’essenzialità e la comunità. L’essenzialità non è l'assenza di qualcosa, ma la sua essenza; al campo cercheremo di cogliere l'essenza della vita e vogliamo togliere ogni distrazione per accorgerci di ciò che più è importante e basilare nella vita. Cercheremo quindi di trovare l’essenziale vivendo in comunità, una grande scommessa che è propria del cuore di ognuno ma bisogna incanalare bene e saper dirigere.

Qualche consiglio pratico.
Dato che vivremo le giornate tutti assieme e con le poche cose che porteremo nello zaino, quanto ci isola, allontana e distanzia dagli altri e tutto ciò che non è strettamente indispensabile (ad esempio: iPod, lettori mp3, macchine fotografiche -di queste ce ne saranno un paio a disposizione di tutti-) risulterebbe solo un peso di cui in questi nove giorni dobbiamo assolutamente liberarci!
Chi vuole può portare il cellulare (non è indispensabile…), lo si potrà usare nei momenti opportuni in modo che non diventi motivo di distrazione o isolamento durante il giorno.
Per le emergenze ci sono i recapiti degli educatori.

Lo zaino: (45-60 litri) lo zaino ideale da usare è sullo stile degli zaini da trekking o con almeno gli spallacci imbottiti e la cintura imbottita salvaschiena sul fondo dello zaino.
Lo zaino, una volta riempito, non dovrà pesare più di 10 kg.

1. Cosa mettere nello zaino:
sacco a pelo estivo + modulo (o materassino);
libretto della Liturgia delle Ore (quello piccolo delle 4 settimane), Bibbia, penna, il quaderno no! (Non venite al campo senza Bibbia e liturgia delle ore: chi non ce l'ha può trovarle in parrocchia)
carta di identità valida, ricevuta del bollettino del pagamento da consegnare al responsabile il giorno della partenza, tesserino sanitario, scheda sanitaria compilata;
poncho (che in caso di pioggia copre anche lo zaino);
cappello per ripararsi dal sole, occhiali da sole, crema solare protettiva, crema idratante/doposole, anti-zanzare (spray o quant’altro);
salviette rinfrescanti e/o salviette intime, un rotolo di carta igienica (che non guasta mai!).
beauty-case con l’occorrente per l’igiene personale;
VESTIARIO;
ACCESSORI;
INFERMERIA.

VESTIARIO
1 paio di scarpe da ginnastica (NO scarponi da montagna)
1 paio di sandali o un paio di ciabatte per la doccia (l’ideale sarebbe portarsi i sandali di gomma in modo da poter fare la doccia con quelli e non portarsi anche le ciabatte risparmiando peso!)
maglione di lana o pile o felpa grossa;
4 o 5 magliette (poi faremo il bucato!). Evitare le canottiere perché: non proteggono le spalle dal sole, non proteggono (spesso peggiorano) dallo sfregamento che lo zaino fa sulle spalle (creando notevole fastidio e a volte irritazioni), e nei santuari o chiese non è possibile entrare con tale abbigliamento.
2 o 3 pantaloni corti (che permettano di camminare comodamente);
1 pantalone lungo (meglio la tuta, più comoda e versatile). I pantaloni lunghi serviranno anche per poter entrare in alcune chiese ad Assisi;
costume da bagno (faremo la doccia con lo spinello);
biancheria intima ;
diverse paia di calzini (eventualmente calzini specifici da trekking senza cuciture, che aiutano contro le vesciche);
asciugamani (telo per la doccia e salvietta…), eventualmente in microfibra perché sono più leggeri, meno ingombranti e si asciugano in fretta.

ACCESSORI
Tazza e piatto infrangibili, forchetta, cucchiaio, coltello con seghetta e tovagliolo;
borraccia da almeno 1 litro (stando attenti che non perda!)
sacchetti (per proteggere il contenuto dello zaino da eventuale pioggia, per riuscire a trovare e riordinare più in fretta il contenuto dello zaino, e per poter dividere indumenti puliti da indumenti usati);
torcia elettrica;
phon da viaggio (per chi ha i capelli lunghi). Consigliamo di accordarsi e di portarne uno ogni 3/4 persone;
tagliaunghie;
sapone per igiene personale e per lavare la biancheria (si può anche utilizzare lo stesso sapone di Marsiglia per ambedue gli scopi)
mollette per poter stendere il bucato bagnato;
strumenti musicali e ritmici di ogni tipo, professionali o artigianali, etnici, tradizionali, creativi, ecc…;
zainetto per girare ad Assisi, infatti gli ultimi 3 giorni staremo fermi, ma gireremo per i luoghi di Assisi e non useremo lo zaino da trekking.

INFERMERIA
Medicine (di cui ciascuno sa di poter avere bisogno!)
cerotti (normali e per vesciche: tipo “Compeed”), kit cucito (ago e filo);
benda elastica o cavigliera/ginocchiera per chi già a Bologna risente di problemi alle articolazioni;
integratori (es. Polase);

SCHEDA SANITARIA:
Deve essere compilata e portata con sé al campo (nello zaino). Deve indicare:
-tutte le vaccinazioni (si consiglia fortemente la vaccinazione antitetanica per chi non fosse già coperto);
-eventuali allergie o intolleranze alimentari;
-i medicinali portati da casa (e che si è autorizzati ad assumere autonomamente: moment, aspirina, oki…)

NB: “Fatto lo zaino??? Quanto pesa…?  “
-Sarà comodo accordarsi con uno o due amici e dividersi alcune cose da portare, non di uso strettamente personale, per esempio phon/shampoo/bagnoschiuma/crema-solare/anti-zanzare, oppure anziché una bozza di shampoo prendi un bottiglino piccolo (non ci laveremo mai così tanto!!!), ecc…
-Dividi il contenuto dello zaino in sacchetti di plastica così da evitare che si bagni in caso di pioggia, poter gestire meglio i vestiti, riuscire a separare la roba sporca e usata da quella ancora pulita e profumata.
-Disponi i sacchetti nello zaino con un ordine un po’ pensato: le cose che si usano più spesso devono essere a portata di mano e quindi in tasche esterne o in alto (Bibbia e Libretto Ore, piatto-bicchiere-posate…).

mercoledì 27 luglio 2011

Cinema sotto il tendone Vol. II - Il federale

Nell'Italia fascista della seconda guerra mondiale, un miliziano, con la promessa della promozione a Federale, è incaricato dai capi del fascio di prelevare un professore filosofo antifascista e condurlo a Roma. Il viaggio dall'Abruzzo alla capitale, però, è irto di insidie e di pericoli: nel 1944 l'Italia è terreno di guerra tra l'invasore nazista e gli alleati liberatori, e ardua è l'impresa del fascista e innumerevoli sono i tentativi del professore di scampare il tribunale militare.

Il film, tuttavia, non è solo un'avventurosa fuga verso Roma, zigzagando le insidie, non è neanche una semplice commedia retta sull'alternarsi rapido di battute e risposte; soprattutto è l'incontro tra due italiani all'opposto in un paesaggio scarnificato dalla guerra e reso aguzzo dai bisogni, povero e triste nell'abbandono. L'incontro tra i gusti colti del professore da un lato, che se non riescono a corrompere il miliziano, di certo toccano il nostro cuore, in momenti di incredibile lirismo poetico, e la semplicità del soldato dall'altro. Di certo non è difficile scegliere da che parte stare, il difficile, ce ne accorgiamo nella finale, è riuscire a essere umani nella parte giusta.
E l'insegnamento del professore è tutto qui, con le sue letture poetiche e la sua ricerca di vita: "in mano a un cretino, anche Leopardi non è più un poeta, ma un gobbo rancoroso". E il senso del film, tra un'educazione letteraria e politica, è un consiglio, quello di cercare di non essere cretini: la guerra fa male a tutti.





Ne parlammo anche qui...

martedì 19 luglio 2011

Cinema sotto il tendone Vol. II - I soliti ignoti

Opera tra le più famose di Monicelli, I soliti ignoti, film del 1958, è il manifesto di un genere tra i più prolifici del cinema italiano. È un cinema che racconta storie di vita quotidiana, restituendoci un'Italia popolare e vera, toccando le punte di drammaticità attraverso la capacità di far ridere. La cifra stilistica è ben diversa sia dal neorealismo, che dalle commedie di genere; nel film i protagonisti smettono di essere marionette, «maschere che giocano la comicità in chiave di gag», caricature di se stessi, per essere personaggi reali che si raccontano su una sceneggiatura chiara. È il genere di un'Italia che cerca di essere se stessa e che è capace di ridere, di riflettere ed emozionarsi senza rinunciare alla propria individualità e alla realtà della vita.

Il film, in particolare, racconta del tentativo sgangherato di un gruppo di poveracci dei sobborghi romani di compiere un furto in casa e, tra le battute, emerge l'aria di tristezza di una società appena sfiorata dal boom economico, collegando la commedia alla sua vena tragica, restituendole un sapore unico. È il degrado dei bassifondi pasoliniani ad essere il protagonista del film, perché i personaggi sono miserabili, e sono destinati a fallire. Ci fanno pena, ma ne ridiamo. Hanno grandi sogni, e una vita incompiuta. E vivono di quelle contraddizioni enormi che meglio raccontano l'Italia e che continuano a innervare la società nella loro attualità.

I protagonisti sono tutti attori di spicco e grande caratura, da Gassman a Mastroianni a Totò, alla Cardinale. Infine, il film ha ispirato tantissimi remake che hanno avuto un successo mondiale notevole, come a dire che un cinema oggi dimenticato in Italia, è molto apprezzato all'estero.




l'intervista.

venerdì 15 luglio 2011

Cinema sotto il tendone Vol. II - Divorzio all'italiana

Nella storia d'amore di Divorzio all'italiana c'è un ritratto della Sicilia degli anni Cinquanta e, di conseguenza, dell'Italia. È una relazione pericolosa, quella tra il barone Fefé (M. Mastroianni), sposato da dodici anni con la petulante Rosalia, e la cugina Angela (S. Sandrelli), minorenne collegiale di cui s'è invaghito. Non potendo separarsi dalla moglie, la legge non lo consente e il costume non lo ammetterebbe, pensa di affidarsi al delitto d'onore: l'uccisione della moglie qualora colta tra le braccia dell'amante dà all'omicida un'attenuante penale; e decide, così, di farla cadere tra le braccia di un suo antico spasimante.

Il film si sviluppa su una trama di intrecci amorosi e relazioni caduche che ritraggono con precisione la mentalità italiana: tutti i diversi tipi sono raffigurati in un paesino siculo che è il paesone Italia. E le scene si susseguono, senza soluzione di continuità, come se fosse un giallo alla rovescia, in cui il protagonista costruisce e smonta (letteralmente: con un trapano mentre la moglie suona il pinao) la stanza del crimine. Così, la ricerca dell'amante e la registrazione delle scene amorose della moglie, tra una gelosia simulata e il galoppo irrequieto di un'immaginazione che già pensa alla difesa dell'avvocato, non si dà tregua allo spettatore, in un susseguirsi di situazioni classiche per una commedia: cariche di pathos e ironiche di contenuto.
Alla fine, ci ricordiamo che, tra un delitto e una scenata d'amore, tutto passa, le relazioni si susseguono come se quel dolore e quel sentimento non fossero mai esistiti e per essere sostituiti con altri simili. Tutto cambia per rimanere tutto eguale. Ed è quella stupenda Sicilia, sfondo di un racconto sentito mille volte, ad essere il vero soggetto dell'occhio della macchina da presa: il punto focale da cui sviluppare ogni riflessione sui costumi odierni e sull'Italia consumistica di oggi.


sabato 9 luglio 2011

Acqua bene comune - Democrazia bene comune...

Un intervento alla manifestazione nazionale per l'Acqua bene comune che riattualizza gli eventi di Genova di 10 anni fa, quando di fronte ad un G8 che intendeva spartirsi i beni del mondo privatamente, ci furono numerosi manifestazioni contrarie. La vittoria del referendum è una vittoria di quegli ideali...



Genova 2001, un film sulla responsabilità (ricordate?): Ora o mai più

giovedì 7 luglio 2011

Cinema sotto il tendone Vol. II - Guardie e ladri

Guardie e Ladri, capolavoro di Monicelli e Steno del 1951, raffigura benissimo uno scontro universale, quello della guardia da un lato e del ladro dall'altro. Aldo Fabrizi, sussiegoso e panciuto poliziotto, e Totò, scalcagnato e simpatico ladro, sono all'opposto. Rappresentazione di diverse figure umane che convivono in un'unica società, gli uni su una riva del fiume, gli altri di un'altra sponda, come dice il Brigadiere Bottoni alla figlia innamorata del cognato del ladro Esposito.

Tuttavia c'è molto altro; i mondi dei protagonisti non sono così distanti e, tra le battute divertentissime e la pensosità malinconica, si vede una storia comune di figli dei poveri, di chi fa fatica a cavarsela, diversi certamente nel proprio percorso di vita ma tanto, tanto simili. E quella vicinanza tra ultimi costretti a lottare tra loro subendo i soprusi di chi impiega il potere per raggirarli e tenerli nella miseria, vicinanza che verrà ripresa da Pasolini nel '68, all'epoca delle pietrate del movimento studentesco, è ancora attuale e fa riflettere sull'oggi.

mercoledì 15 giugno 2011

Libri per l'estate: per crescere!

Qualche consiglio libresco per chi dovesse passare un paio di settimane in vacanza coi suoi, oppure per chi volesse non sprecare il proprio tempo e cercare di crescere... Sono tutti capolavori: buon divertimento...

A. Camus, Lo Straniero.
Th. Mann, I Buddenbrook.

F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov; I Demoni.

H. Hesse, Siddharta.
I.B. Singer, Il mago di Lublino.

I. Calvino, Se una notte di inverno un viaggiatore.
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (e Il gattopardo nel flusso del tempo, a cura di B. Maj).
L. Sciascia, Il mare colore del vino; Le parrocchie di Regalpetra.
D. Dolci, Racconti siciliani.

F. Kafka, Il Processo.

K. Vonnegut, Mattatoio n.° 5; Madre notte.
J.D. Salinger, I nove racconti.
E. Hemingway, I 49 racconti.
H. Boll, Opinioni di un clown.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita.
M. Yourcenar, L'opera al nero.

H. de Balzac, Le illusioni perdute.
M. Proust, La strada di Swann.
C. Pavese, La luna e i falò.
M. de Montaigne, I Saggi.

venerdì 10 giugno 2011

Full Metal Jacket

Uomini cartuccia, rivestiti di piombo per non sentire la propria umanità: macchine per uccidere, piuttosto che uomini. Addestrati dal terribile sgt. Hartmann in un perorso di anti-formazione, i marines sbarcano in Vietnam, luogo eponimico delle guerre cittadine nel Golfo e paesi Arabi degli anni '90 e 2000.
Nei marines ci siamo noi, quando subiamo un addestramento feroce con cui perdiamo la nostra umanità; istruiti e fiaccati nella nostra capacità di scelta, abituati a subire qualsiasi cosa pur di obbedire ad un comando bieco. Siamo manovrati, così come lo furono i soldati in Vietnam.
Siamo trasformati in killer-machine, cioè, prosaicamente, in macchine da consumo, mandati al macello del mercato piuttosto che non della guerra.

E la guerra, nel film, è quell'inferno in cui le anime oscurate dei soldati trovano il loro sfogo, giungendo a compimento di un percorso formativo che inizia con la rasatura iniziale e che passa per una deriva sessuale che si esprime sia nella volgarità dell'istruttore, che negli atteggiamenti dei soldati nei confronti delle donne vietnamite. Alla fine, passati attraverso l'omicidio-suicidio di PallaDiLardo, anche Joker raggiungerà la propria trasformazione (i volti inquadrati ce lo raccontano con puntiglio): anche lui diventa un duro.

Full Metal Jacket: l'intervista...
Conclusione

martedì 7 giugno 2011

Don Milani sull'acqua bene comune...

Don Milani sull'acqua, in una lettera a Bernabei, direttore del "Giornale del mattino":
Caro direttore, a rileggere l’articolo 3 della Costituzione, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…” mi vengono i bordoni. Oggi non volevo parlarti dei paria d’Italia, ma d’un’altra cosa. C’è questa legge 991 (legge per la montagna che garantisce finanziamenti e agevolazioni fiscali, ndr) che pare adempia la promessa del secondo paragrafo dell’articolo 3: “… è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”. A te, cittadino di città, la Repubblica non regala un milione e mezzo, né ti presta i soldi. A noi sì. Basta far domanda… Infatti eravamo già a buon punto perché un proprietario mi aveva promesso di concederci una sua sorgente assolutamente inutilizzata e inutilizzabile per lui, la quale è ricca anche in settembre e sgorga e si perde in un prato poco sopra alla prima casa che vorremmo servire. Due settimane dopo, un piccolo incidente.

Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s’è svegliato d’umore diverso e m’ha detto che la sorgente non la concede più. Ho insistito. S’è piccato. Ora non lo scoscendi più neanche colle mine. Ma il guaio è che quando ho chiesto a un legale se c’è verso d’ottenere l’esproprio di quella sorgente, mi ha risposto di no. Sicché la bizzettina di quell’omino, fatto insignificante in sé, ha l’atomico potere di buttar all’aria le nostre speranze d’acqua, il nostro consorzio, la famosa 991, il famoso articolo 3, le fatiche dei 556 costituenti, la sovranità dei loro ventotto milioni di elettori, tanti morti della Resistenza (siamo sul monte Giovi! ho nel popolo le famiglie di quattordici fucilati per rappresaglia). Ma qui la sproporzione tra causa ed effetto è troppa! Un grande edificio che crolla perché un ragazzo gli ha tirato coll’archetto! C’è un baco interiore dunque che svuota la grandiosità dell’edificio di ogni intrinseco significato. Il nome di quel baco tu lo conosci. Si chiama: idolatria del diritto di proprietà. A 1995 anni dalla Buona Novella, a sessantaquattro anni dalla Rerum Novarum, dopo tanto sangue sparso, dopo dieci anni di maggioranza dei cattolici e tanto parlare e tanto chiasso, aleggia ancora vigile onnipresente dominatore su tutto il nostro edificio giuridico. Tabù. Son dieci anni che i cattolici hanno in pugno i due poteri: legislativo ed esecutivo. Per l’uso di quale dei due pensi che saranno più severamente giudicati dalla storia e forse anche da Dio?…


Guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare… Peccatori come gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri no… Che i legislatori cattolici prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e stilino una 991 molto più semplice in cui sia detto che l’acqua è di tutti. Quando avranno fatto questo, poco male se poi non si riuscirà a mandare due carabinieri a piantar la bandiera della Repubblica su quella sorgente. Morranno di sete e di rancore nove famiglie di contadini. Poco male. Manderanno qualche accidente al governo e ai preti che lo difendono. Poco male. Partiranno per il piano ad allungarvi le file dei disoccupati e dei senza tetto. Non sarà ancora il maggior male. Purché sia salva almeno la nostra specifica vocazione di illuminati e di illuminatori. Per adempire quella basta il solo enunciare leggi giuste, indipendente dal razzolar poi bene o male. Chi non crede dirà allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri dogmi e delle nostre certezze, negherà che Dio ci abbia parlato o che il Papa ci possa precisare la parola di Dio. Dicendo così avrà detto solo che siamo un po’ troppo cattolici. Per noi è un onore. Ma sommo disonore è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il male, e a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri.

mercoledì 1 giugno 2011

Sono finiti? Anno zero...

A. Gramellini su La Stampa:
Ieri in Italia sono finiti gli Anni Ottanta. Raramente nella storia umana un decennio era durato così a lungo. Gli Anni Ottanta sono stati gli anni della mia giovinezza, perciò nutro nei loro confronti un dissenso venato di nostalgia. Nacquero come reazione alla violenza politica e ai deliri dell’ideologia comunista. L’individuo prese il posto del collettivo, il privato del pubblico, il giubbotto dell’eskimo, la discoteca dell’assemblea, il divertimento dell’impegno. La tv commerciale - luccicante, perbenista e trasgressiva, ma soprattutto volgarmente liberatoria - ne divenne il simbolo, Milano la capitale e Silvio Berlusconi l’icona, l’utopia realizzata. Nel pantheon dei valori supremi l’uguaglianza cedette il passo alla libertà, intesa come diritto di fare i propri comodi al di fuori di ogni regola, perché solo da questo egoismo vitale sarebbe potuto sorgere il benessere.

Purtroppo anche il consumismo si è rivelato un sogno avvelenato. Lasciato ai propri impulsi selvaggi, ha arricchito pochi privilegiati ma sta impoverendo tutti gli altri: e un consumismo senza consumatori è destinato prima o poi a implodere. Il cuore del mondo ha cominciato a battere altrove, la sobrietà e l’ambientalismo a sussurrare nuove parole d’ordine, eppure in questo lenzuolo d’Europa restavamo aggrappati a un ricordo sbiadito. La scelta di sfidare il Duemila con un uomo degli Anni Ottanta era un modo inconscio di fermare il tempo. Ma ora è proprio finita. Mi giro un’ultima volta a salutare i miei vent’anni. Da oggi si guarda avanti. Che paura. Che meraviglia.

E L'Amaca di ieri di M. Serra:
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell’edonismo fintoallegro, dell’ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: “Non sanno se ridere o piangere, batton le mani”. Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato.

venerdì 27 maggio 2011

Quello che non sappiamo ancora dei quesiti referendari

Il 12 e 13 giugno siamo convocati ad un Referendum abrogativo su quattro quesiti distinti, ma di interesse generale e su cui, anche se non abiamo raggiunto la maggiore età, conviene essere informati. A leggere i quesiti, infatti, ci si accorge che interrogano la cittadinanza su punti specifici che, in punta di diritto, evidentemente, sono limitati rispetto ai grandi temi su cui sarebbe interessante riflettere e su cui tutti devono avere un'idea.

Un buon sito, sintetico sui punti, è questo: prima dice qualcosa sul Referendum in sé: il voto è un dovere civico (art. 48) a cui tutti accedono raggiunta la maggiore età (ibid.); il referendum si indice per abrogare una legge (art. 75). Lo stato deve agevolare la partecipazione di tutti, deve garantire un'informazione adeguata (art. 3: rimozione degli ostacoli ... che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione)!

I QUESITI

L'ACQUA. Due i quesiti sull'acqua "pubblica". Il primo interviene sull'articolo 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, convertita in legge Legge 6 agosto 2008, n. 133, modificata LEGGE 23 luglio 2009, n. 99 attraverso una legge che dispone un diverso utilizzo dell'energia e dell'acqua, e modificata da altre due leggi, l'articolo 15 della legge 25 settembre 2009, n.135, convertito in legge il 20 novembre 2009, n.166. I testi in sé non sono semplicisissimi, e i diversi rimandi non semplificano le cose. Per chi volesse guardare i link, l'articolo 15 del settembre 2009 è certamente uno di quelli più ricco di cose.

Questo quesito si interroga sull'obbligo della gara e l'affidamento della gestione dell'acqua a privati (poi aggiungo qualcosa).

Il secondo quesito interroga sull'abrogazione di una riga del primo comma dell'articolo 154 del decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Nello specifico di quella sull'adeguatezza dela remunerazione del capitale investito. Si tatta, quindi, di eliminare dalla tariffa dell'acqua gestita dai privati il guadagno del capitale investito. A me pare evidente che, togliendo questa riga, venga meno l'interesse speculativo: non è che l'acqua sarebbe gratis, ma resterebbe la tariffa solo per il costo del servizio di gestione. Gli extra-profitti sarebbero limitati.

Sull'acqua si deve discutere parecchio, perché la legge ha trasformato una cosa che l'ONU ha recentemente definito un diritto fondamentale dell'uomo in un bene (in una merce: lo Stato che trasforma in merci ciò che gli appartiene, è uno Stato mercificato, in cui la politica è succube dell'economia). Anche il papa, nell'enciclica Caritas in Veritate ha indicato nell'acqua un diritto fondamentale per la vita. Ed è evidente che un diritto non possa essere considerato un bene.

Un sito interessante, benché puntiglioso, sui quesiti del referendum è LaVoce: due economisti ci ricordano che non è che con l'abrogazione della legge l'acqua resterà pubblica o viceversa, perché l'acqua è pubblica (lo dice anche questa legge), ma la gestione sarà privata. A me alcune cose non tornano del loro discorso, ma le questioni sollevate solo interessanti. Tuttavia credo che non si risolve il problema degli sprechi dell'acqua solo affidandola ai privati: la legge eccede il problema. Inoltre la gestione renderebbe i privati proprietari. Nel sito, guardatevi anche i commenti: alcuni sollevano questioni interessanti e le risposte ai commenti.
Di rilievo l'impegno di Alex Zanotelli sull'acqua pubblica e 2. Occorre chiedersi se vogliamo davvero mercificare tutto, o se resta qualcosa al di fuori del mercato. In fondo, io non vedo grandi motivazioni nella "privatizzazione", credo che sia possibile migliorare la qualità dell'acqua lasciandola in mano al pubblico.

IL NUCLEARE. Ancora il sito con il quesito. Tutto sommato, le cose qui sono più semplici dal punto di vista del diritto. Tuttavia qualche considerazione possiamo farla. Intanto due siti: 1, 2. Un video di Grillo dall'intervista ad AnnoZero. Secondo me occorre chiedersi se sia sensato ricorrere ad una teconologia che nessuno realizza più (nessuno costruisce più centrali nucleari) e che sembra aver raggiunto il proprio picco di funzionalità e che aprirebbe a diverse problematiche, intanto dalla localizzazione del sito di costruzione, inoltre a quello per lo smaltimento delle scorie radiattive, infine al fatto che dobbiamo importare l'uranio e, ultimo ma non ultimo, l'elevato consumo energetico della centrale nucleare. Aggiungo anche: siamo in grado di costruire centrali, ne abbiamo il know-how o dovremmo importarlo? A chi conviene sviluppare una tecnologia superata, che però permette di accumulare ingenti quantità di denaro? (Ci rassegneremo ad un presidente-costruttore...) Chi dovrebbe regolamentare l'uso di una tecnologia che comporta rischi mondiali?

LEGITTIMO IMPEDIMENTO. Ancora il sito e un altro generale. Nonostante quello che si può ritenere, considero questo punto meno rilevante degli altri, anche se, com'è ovvio, è un referendum contro Berlusconi che ha fortemente voluto questa legge e che ne usufruirà più di tutti. In effetti se in sé le cose non cambieranno, se non che si appesentirà la magistratura (e si dice tanto che vogliono il processo breve) per qualcosa di inutile, perché resteranno i magistrati a decidere sulla liceità della richiesta; tuttavia far passare anche questa significherebbe far credere a Berlusconi che può permettersi di combinare quello che vuole perché per gli italiani il rispetto della legge non è di rilievo. Si potrà poi giudicare se il legittimo impedimento sia necessario per i cittadini o se sia conveniente per pochi...

Considerate, qualora il referendum fallisca, che il governo si sentirà autorizzato a procedere e sfrutterà il fallimento ben oltre i limiti di queste leggi. Informarsi e partecipare è, quindi, estremamente importante, perché permette di riaprire un dialogo (sia con lo stato che anche tra noi) che in fase parlamentare è mancato. E, su temi così vitali, invece, sarebbe fondamentale!

Discuterne e dibatterne lontano dai modelli televisivi, diventa un modo per riappropriarci della politica e trasformare questa società...