mercoledì 23 settembre 2009

Filosofia: metafisica

Per una pagina sulla metafisica:

"La scienza rifiuta il Niente e lo abbandona come nullità [la scienza si interssa dell'ente, di ciò che può essere indagato, il resto è niente; al di là di quello è niente]. Ma abbandonando il Niente in questo modo, non finiamo forse per ammetterlo? [...] Che cosa può essere per la scienza il Niente se non una mostruosità e una fantasticheria? Se la scienza ha ragione, allora una cosa è certa: del Niente la scienza non vuole saperne niente. [...] Eppure è altrettanto certo che dove cerca di esprimere la propria essenza essa chiama in aiuto il Niente. [Questa duplicità vale anche nella nostra vita e nel nostro domandare, perché ci accorgiamo di essere nel mezzo di un conflitto che si sviluppa nel nostro domandare che è più originario della scienza, a cui essa non può portare soluzione. Se vi è un domandare sul Niente, significa che lo avvertiamo come presente:] il Niente è la negazione della totalità dell'ente. [...] Quelli che noi chiamiamo sentimenti non sono un fenomeno fugace che si accompagni al nostro pensare e volere; eppure proprio in quanto ci conducono dinanzi all'ente, quei sentimenti positivi, ci nascondono il Niente. [In altri termini, è possibile avvertire la presenza del Niente dalle situazioni positive che viviamo: lo intravediamo come possibilità; possiamo, quindi, essere di fronte al Niente.] [...]
Essere di fronte al Niente è possibile, però, cioè è reale nello stato d'animo fondamentale dell'angoscia. [...] Nell'angoscia diciamo che uno è spaesato. Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell'insieme. Tutte le cose e noi stessi sprofondiamo in una sorta di indifferenza. Questo, tuttavia, non nel senso che le cose si dileguino, ma nel senso che proprio nel loro allontanarsi le cose si rivolgono a noi. Questo allontanarsi dell'ente nella sua totalità, che nell'angoscia ci accerchia, ci angustia. L'angoscia rivela il Niente. [...]
L'esserci dell'uomo di scienza ha la sua semplicità e la sua forza nel fatto di rapportarsi in un modo eccelso all'ente stesso e unicamente a esso. Con un gesto di superiorità, la scienza vorrebbe abbandonare il Niente. Ma ora, nel domandare del Niente, appare evidente che l'esserci dell'uomo di scienza p possibile solo se fin da principio si tiene immerso nel Niente. [...] La pretesa sobrietà e superiorità della scienza diventa qualcosa di ridicolo se essa non prende sul serio il Niente. Solo traendo la sua esistenza dalla metafisica, la scienza può riconquistare sempre di nuovo il suo compito essenziale, che non consiste nel raccogliere e nell'ordinare conoscenze, ma nel dischiudere l'intero spazio della verità della natura e della storia".

M. Heidegger, Che cos'è la metafisica?

Questo pensatore del secolo scorso mostra come il domandare metafisico, cioè quel domandare che produce un pensiero ordinato che va oltre al pensiero pratico, sia di fondamento sia alla vita dell'uomo (questi è posto di fronte alle sua angosce e non trova nella scienza una risposta accettabile; come dire: la metafisica fa parte dei pensieri dell'uomo, quindi va almeno rispettata) che di fondamento alle materie "più scientifiche" (la metafisica è il tentativo di trovare una risposta ad un domandare profondo che dà senso e ordine alle diverse scienze; come dire: la fisica è un nostro modo di vedere il mondo).

lunedì 21 settembre 2009

Campo a Monte Sole: riflessione + video

In fondo il video di sabato sera, chiaro che vederlo dal vivo ha un altro effetto...

Come affrontare la vita. Campo semi-itinerante a Monte Sole.
25agosto/2settembre 2009


Tornando dai campi, così come da una vacanza, capita di sentirsi interrogare sul come sia andata. Rispondere non è mai facile, soprattutto per un campo come il Semi-itinerante a MonteSole. Forse il modo migliore è quello di dire come si era prima di partire e cosa è cambiato al ritorno.
Io non ci volevo andare, non ne avevo voglia e potevo trovare numerosi motivi validi da usare come scusa. Però il tema, la lotta tra bene e male, la presenza del male nel mondo e la vittoria del bene, era molto stimolante; don Mario, inoltre, aveva sempre elogiato questo campo; pure qualcos'altro e qualcun altro ha influito. Mi sono fidato e mi sono affidato.
Così come hanno fatto quanti sono venuti: dovevano fidarsi che le camminate con gli zaini in spalla erano fattibili, che gli incontri con i testimoni delle uccisioni e delle stragi sarebbero stati indimenticabili, che ci saremmo divertiti, che saremmo cresciuti e che qualcosa sarebbe cambiato al ritorno. Ma chi poteva dar senso pieno alla loro fiducia?
Alla fine è andata realmente bene. Non perché non si sia fatta fatica, ma perché quella fatica ha prodotto uno stare insieme straordinario. Guardare dall'esterno questo gruppo di 45 ragazzi il primo giorno, e stare in mezzo a loro due giorni dopo dava prova di un mutamento, tanto che in molti si sono trovati contenti per qualcosa del campo per cui non avrebbero mai pensato: chi per gli incontri di gruppo, chi per la veglia, chi per il ritiro, chi per l'adorazione: quella fiducia era stata ripagata con un grande avanzo.
Io ero partito dubbioso; sì, il campo sarebbe stato bello, ma da soli, noi educatori, come avremmo fatto a far venir davvero bene il campo; cioè, al di là del semplice resoconto storico o della lezioncina solita?
È sempre la presenza del Signore a dare un senso di piacevolezza alle cose che si fanno: è quella presenza che si avverte quando qualcosa viene meglio del previsto, è quel di più che colma la misura laddove si incontrano le manchevolezze umane, il dolore e la morte. È l'affidarsi a Lui che dà valore al nostro operare. Non tutto capita per caso. Quegli incontri così belli (soprattutto quello con Pirini, testimone oculare dell'eccidio, con quello sguardo, quel modo di raccontare sorridendo, quella sicurezza nell'importanza di un perdono maturato con fatica. Ne siamo rimasti tutti coinvolti, tanto che, dopo l'incontro, tutti i ragazzi non discutevano più delle morti e delle stragi, ma di quel gesto d'amore; tanto che, due giorni dopo, in un gioco di ruolo, chi si era detto sicuro dell'impossibilità di un proprio perdono, ha difeso la necessità di quel gesto con grande abilità!), quella capacità di condividere le proprie fatiche, le proprie ansie, trovando negli altri un orecchio premuroso ed attento, non sono avvenimenti successi per caso: era quella fiducia che dava i suoi frutti. In questo si avvertiva la presenza superiore di qualcuno che ci aiutava e ci sorreggeva.
Affidarsi a Gesù, stare con Lui portando in spalla le nostre fatiche e i nostri dolori (da quello banale di chi si è fatto male in modo stupido alla caviglia, ad angosce ben più indelebili) ci ha mostrato una via di vita sensata, unica e incantevole: la via dell'amore che sconfigge la morte. La via di chi può non temere perché attraverserà i fiumi senza esserne sommerso e camminerà sul fuoco senza consumarsi. Ma è veramente così? Perché, allora, c'è il male nel mondo, perché c'è la morte, di chi è la colpa, ci si può chiedere.
Di sicuro un campo non basta per trovare una risposta, per trovare un po' di pace nel cuore; però, dopo Monte Sole, forse si può intravedere una luce da cui farsi guidare. Abbiamo capito che siamo chiamati a portare la nostra croce, talvolta a «completare con le nostre sofferenze quello che manca ai patimenti di Cristo». Non perché lo vogliamo, ma perché serve alla purificazione di tutti, cioè all'opera di resurrezione e di costruzione di una strada – un senso – nel deserto, così come alcuni interventi dei ragazzi aprivano una strada negli animi affaticati dei catechisti. Resta il dolore, ma sappiamo che in Cristo è sconfitto, perché l'amore trionfa. È, certo, un percorso lungo, difficile e tortuoso; diventa necessario quel faro incontrato a Monte Sole, affinché illumini la nostra selva oscura.

È veramente importante volerci stare, così come abbiamo fatto al campo. Avere fiducia nelle cose grandi, come abbiamo mostrato nelle cose minute. Essere luce, a nostra volta, verso i nostri fratelli. Nella consapevolezza, lo ripeto, che le cose non capitano a caso, e che, quindi, occorra viverle affidandosi. Perché un certo timore può essere un ostacolo all'incontro col Signore.
Forse è difficile pensare che un campo possa averci dato questa forza, ma allora quello che abbiamo visto negli occhi e che abbiamo sentito dai ragionamenti dei 45 ragazzi ce lo siamo immaginato.


giovedì 17 settembre 2009

Lollino

E' anche carina l'idea di un video di traverso: era nel verso giusto, ma l'ho girato io con grande difficoltà...

Grazie ragazze (un'idea di Armaroli)

Guardate Giulia quanto ci mette ad accorgersene...