giovedì 31 dicembre 2009

Messaggio del Papa per la pace


SE VUOI COLTIVARE LA PACE, CUSTODISCI IL CREATO

1. In occasione dell’inizio del Nuovo Anno, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero. Per questa XLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio» [1] e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi «quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino» [2].

2. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità [3]. Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che «move il sole e l’altre stelle» [4].

...CONTINUA QUI...

mercoledì 30 dicembre 2009

Il canto delle spose


Film dai diversi contenuti: c'è il tema dell'adolescenza e della crescita; il tema dell'amore e della femminilità: il corpo della donna viene esplorato e corteggiato fin in dettagli inaspettati; il ruolo della donna nella società del secolo scorso e il tema della discriminazione razziale e religiosa. Tutti calati nel racconto di un breve scorcio di vita di due amiche, l'una musulmana e l'altra ebrea, nella Tunisi del 1942 invasa dai tedeschi che si accingono alla conquista dell'Africa.
Le leggi razziali del nazismo sono speculari alla condizione di privilegio sociale di cui godevano ebrei e francesi a scapito della popolazione musulmana; tutte queste altro non rappresentano se non lo sfruttamento dei potenti verso i più poveri che si perpetua nella Storia.
E' nell'amicizia tra Nour e Myriam che il film mostra un diverso tipo di rapporto con l'altro, fondato su una sentimentalità e un affetto sinceri e sull'aiuto vicendevole; come se, in un mondo spaccato e diviso e in cui l'uomo tende a sfruttare l'altro uomo, attraverso l'amicizia tra due ragazze che entrano nell'età matura (sono in procinto di sposarsi), attraverso gli occhi, i sentimenti e la loro ansietà di "sfruttate" per eccellenza, ci venga mostrata la possibilità di costruire un mondo diverso, in cui poter convivere. L'ostacolo della crescita è rappresentato dalla presenza nazista: è l'ostacolo del razzismo che perpetua lo sfruttamento secondo la logica della vendetta. Anche Nour ci casca, traviata dal futuro sposo che ha trovato un lavoro presso i tedeschi, lavoro a cui, si presume, non poteva ambire altrimenti a causa della sua condizione di musulmano, e che quindi nutre riconoscenza nei confronti di questi ultimi (che promettono l'indipendenza al Paese, una volta vinta la guerra), e condottavi dalla sua ignoranza (non poteva andare a scuola per motivi razziali): legge l'arabo a fatica e, nell'esercitarsi nella lettura del Corano, si sofferma su una parte che dà adito a ritenere che solo il musulmano sarà salvato a scapito degli infedeli.
Il conflitto tra le due ragazze esplode: quando Nour rinfaccia a Myriam la sua condizione, il dialogo incontra uno scoglio imponente. Si coglie l'illogicità del razzismo che solletica Nour, che non può che contraddirsi quando, sentendosi sfruttata da ebrei e francesi, non può che fare un'alternativa su Myriam: lei non è come gli altri, perché è una sua amica. Ed è un conflitto durissimo, mostrato in quei lunghi momenti di silenzio, nelle solitudini delle due ragazze e nel pianto di Myriam, culminante nel getto nel pozzo del bracciale d'oro che Nour aveva ricevuto dall'amica.
Sarà ancora la lettura del Corano a far comprendere a Nour che tutti gli uomini sono uguali, qualunque fede professino; meravigliosa è la scena: tra l'amore del padre, che le consiglia quale punto leggere, e lo spavento incredulo della figlia, che non si sente trattata come un oggetto, ma come una persona.
L'amicizia tra le due amiche, così travagliata dalla Storia e dalle vicende quotidiane, si ristabilisce nella scena conclusiva del film (e di un finale così aperto da lasciare spazio alla nostra immaginazione), quando in una casa diroccata dai bombardamenti, le due ragazze si incontrano e, stringendosi in un abbraccio, pregano la loro diversità e superano i pregiudizi razzisti.

Proprio per il tema razziale il film è straordinariamente attuale; arricchito dal concentrarsi sulle figure più ai margini della storia, la trama esprime tutta la sua potenza nel mostrarci la follia contenuta nella violenza e nell'odio per l'altro solo perché diverso e detentore di un privilegio; prima che le armi e la rivoluzione, può il cuore di due amiche, legate da un affetto indissolubile per quanto precario. Tuttavia il film non è così ingenuo da ritenere che il mondo si riduca alla contrapposizione odio/amore e che alcuni siano detentori dell'uno piuttosto che dell'altro. Il nodo di sfruttamento, di privilegio, di odio che predomina nella società, è unito agli affetti personali che ci legano a singoli; la vera forza dell'amore è riconoscersi umani e pieni di difetti, riconoscere i nostri stessi errori, gli errori delle proprie concezioni e la vacuità delle ideologie o delle volontà di potenza.
La possibilità di essere più uomini, contenuta negli sguardi e nell'abbraccio finale, ci offre l'occasione di liberarci dalle catene che ci imprigionano, di liberarci dal giogo del razzismo. Ma, come nel film, è una storia senza finale...

venerdì 25 dicembre 2009

Ignari vs Ignavi

Propriamente ignaro significa colui che non sa e non conosce, inesperto, inconsapevole. Mentre l'ignavia è la mancanza di forza morale e di volontà, l'incapacità di prendere una decisione.
Benché diversi, rappresentano due categorie antitetiche della responsabilità. I primi, perché vivono la loro vita nel solco di una sorta di quotidianità borghese che li forza alla sopravvivenza, senza rendersi conto delle cose, distratti e noncuranti, disinteressati di tutto ciò che non è effimero. Gli altri non sono mai stati in grado di prendere una decisione e mantenersi saldi in essa, ma hanno vagato seguendo diverse "bandiere"/mode a seconda delle condizioni. Mi pare, però, che questa seconda categoria sia un classico della letteratura, meno attuale della prima, legata com'è all'inferno dantesco, alla fissità dell'uomo medievale (soprattutto perché defunto) e ad un collegamento con la politica più che con un'etica individuale. Partire da quella concezione e dirsi ignavi oggi (o definire l'ignavia oggi) è complesso, perché l'individualismo moderno ci porta a ritenere e a difendere ogni nostra decisione, ogni nostra presa di posizione anche nei casi in cui non si tratti di una reale decisione, cioè maturata attraverso un percorso personale di impegno. L'attualità dell'ignavia dantesca risiede nell'assenza di impegno non intesa nei soli termini pratici, ma in quelli di una moralità connessa all'uso proprio dell'intelletto: impegnarsi per gli altri non coincide solo con un atto pratico e non coinvolge solo un sentimento di attaccamento affettuoso nei confronti degli altri, ma riguarda un lavoro di consapevole maturazione personale, che conduce a comprendere quello che succede nel mondo.

L'attualità dell'ignavia è contenuta nel concetto di ignaro, la cui mancanza (come scrive Heinrich Böll) di consapevolezza è legata non all'indecisione, ma ad una incapacità di intelligenza e di interesse nel vedere e capire che li conduce a non far proprio il nocciolo delle questioni di cui si interessano, restando sempre in superficie e, come gli ignavi, cambiando bandiera, "al passo coi tempi", a seconda delle convenienze, ma senza vivere realmente e senza trattenere nel cuore - rielaborato dall'intelletto - nulla. L'ignavia, categoria solo morale, è astratta nel nostro moderno se l'indecisione di essa non si collega all'impiego ordinante e costituente dell'intelletto che comprende, conosce e rende consapevoli del mondo.

Gli ignari sono gli individui incerti, che non hanno saputo rischiare, scrive l'autore riferendosi a quanti, nel medesimo istante dell'uccisione del Cristo, stavano seduti a fare colazione. Con la placida vuotezza di chi non si interessa di nulla; "ahimé, è l'antica stirpe che non può essere sradicata, la stirpe dei morti viventi. A volte i loro figli mostrano negli anni giovanili una certa brillantezza, che sembra molto promettente, a l'opacità putrida del sangue e la materia marcescente dei cervelli oscura ben presto quell'ingannevole luminosità. Non conoscono il distacco divino dalle cose terrene, che invece dovrebbe essere patrimonio di ogni cristiano. [...] E' gentaglia insulsa , estranea a tutto ciò che è essenziale e assoluto, insensibile al fascino dell'arte e non gravata dalla responsabilità di Dio, r noi potremmo anche lasciare cadere il nostro silenzio su questa parte del genere umano, se non si trattasse pur sempre di nostre sorelle e di nostri fratelli che ci sono stati affidati come tutti gli altri".

"Ogni volta che tornavamo da questi abissi di orrore, guardavamo in faccia quei beati idioti, che negano la miseria e la povertà, i cui occhi sono impastati di una poltiglia nauseante che nasconde loro ogni realtà e verità... [...] Dobbiamo imparare a riconoscere questi assassini dello spirito che si definiscono élite intellettuale. Non sanno cosa sia la fede, non sanno cosa sia l'impegno, e se si definiscono cristiani, non credetegli, sono pronti a vendere Dio alla prima occasione per la loro esistenza: ma no, non lo vendono neppure, sarebbe una tto troppo impegnativo; eludono tutto; la cosa più terribile è che eludono anche la Croce... vanno in Chiesa come se andassero al circolo...".


E cosa significa protervia?

mercoledì 9 dicembre 2009

Scuola???

I ragazzi convinti che il sapere sia irrilevante:
Serve a qualcosa il latino, una lingua cadavere? A che serve la matematica, quando abbiamo le calcolatrici che ci forniscono il risultato di qualsiasi operazione lì, sul momento? A che servono la grammatica, la sintassi e l' ortografia se come si parla e come si scrive è lo stesso? A che serve conoscere la storia se basta cercare su Internet per appurare istantaneamente chi fu il tale personaggio e che cosa successe il tale anno? A che serve la geografia, se prendiamo aerei che ci portano in qualunque posto nel giro di poche ore e non ci importa nulla del tragitto? C' è qualcosa che serve a qualcosa? E che cosa sono, poi, le cose «pratiche»? Forse solo imparare a maneggiare il computer e la calcolatrice. In fin dei conti, perché è necessario andare a scuola? Per avere un' idea del mondo, del passato dell' umanità, della storia dell' arte e delle religioni, dell' evoluzione delle scienze, della nostra anatomia, dei testi che sono stati scritti, della moltiplicazione, della divisione, della sommae della sottrazione, del cerchio e del triangolo? Niente di tutto questo è «pratico» né aiuta a guadagnarsi da vivere, tanto menoa diventare Reina Hispanomericana. Eppure... L' istruzione non è solo conoscenza e dati. È un elemento essenziale di quella che un tempo si chiamava «formazione», cioè la trasformazione degli individui in persone, non esseri animaleschi che cadono nel mondo senza avere nozione alcuna di quello che c' è stato prima di loro, incapaci di associare due fatti, di distinguere fra causa ed effetto, di articolare due frasi intelligibili, di pensare e ragionare, di comprendere un testo semplice. Questo è il genere di esseri che abbonda ogni giorno di più nella nostra società intellettualmente rudimentale.

sabato 14 novembre 2009

Sulla preghiera

Il vangelo di oggi:
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: "In una città viveva un giudice, che non temeva Dio nP aveva riguardo per alcuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: "Fammi giustizia contro il mio avversario".
Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: "anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi".
E il Signore soggiunse: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"

Lc 18,1-8

Dal commento di Benzi:
La preghiera di quella donna colpita dall'ingiustizia del giudice, cambia il giudice. Il Signore ci dice che la preghiera cambia la nostra vita e modifica il rapporto profondo tra noi e Dio perhé c'è un mistero intimo di vita tra noi e Dio. Questo mistero è la compresenza dello Spirito in noi, riflesso del mistero trinitario; e questo mistero deve essere sviluppato e reso cosciente. La preghiera è il grande mezzo, insostituibile per crescere dentro a tale mistero e per vivere la pienezza e la presenza di Dio in noi.
Purtroppo il rapporto con Dio rimane nano, allo stato minimo: sono i casi in cui non riconosciamo Dio. Ma se non lo cerchiamo, come possiamo riconoscerlo? E', questo, un altro mistero.
Gesù ci mette in guardia: tutti i rinnegamenti di Dio sono dovuti alla mancanza di cammino profondo con lui. E quando il Figlio dell'uomo verrà sulla terra, troverà la fede in noi?

First class

giovedì 5 novembre 2009

Il vero senso della preghiera: silenzio e ascolta

Quando Dio finì di creare il mondo, decise di dividerlo tra i suoi principi e li chiamò a sé.

Il primo principe ad arrivare fu il principe del mare, tutto ricoperto di onde blu e azzurre e sul suo capo un turbante di onde spumeggianti.

“Poiché sei giunto per primo” disse Dio al principe del mare “ti darò la parte più grande. Riceverai due terzi del mondo: gli oceani, i laghi e i fiumi. Nella tua parte abiteranno tutti i pesci e i coralli stupendi, i pericolosi squali e le balene più grandi di ogni animale della terra. Presso di te verranno uomini e bestie e si compiaceranno di sedere presso le tue spiagge.

Partì quindi il principe del mare felice gioioso e riconoscente, dopo di lui entrò il principe delle montagne, alto e imponente, sul suo capo una vetta splendente e innevata.

“Shalom lekhà, pace a te, principe delle montagne” lo salutò Dio “a te darò tutte le cime ricoperte di neve e il forte vento dei monti che fa vivere ogni spirito. Ti darò le viste più belle nei limpidi giorni di primavera, tutte le bestie che abitano i dirupi, i camosci e le aquile. Tra i tuoi crinali abiteranno grandi poeti e sulle tue alture cammineranno coraggiosi i conquistatori di vette”.

Gioì il principe delle montagne e proseguì per la sua strada, dopo di lui giunse il principe delle foreste, ricoperto di foglie e rami ed attorno ai suoi piedi radici sinuose ricoperte di muschio.

“Barukh habà, benvenuto” disse Dio “a te do tutto il verde del mondo, le giungle misteriose e fitte, la ricchezza dei fiori e dei cespugli nei loro colori intensi e gli uccelli dal magnifico canto, che allieteranno gli orecchi di coloro che visiteranno le tue foreste. Ti dono tutte le grandi fiere, le scimmie, gli enormi elefanti e le farfalle dai mille colori. Presso di te verranno avventurieri amanti del pericolo alla ricerca di sfide e di territori sconosciuti.

Anche il principe della foresta partì, tutto contento, e Dio, visto che il suo sacco si era ormai svuotato, si accinse ad andar via.

Improvvisamente si udì un fruscio di vento leggero, e di fronte a Dio comparve il principe del deserto.
Vecchio e stanco si trascinava il principe del deserto, tutto bruciato dal sole e riarso dai venti, la barba ricoperta di polvere e la pelle solcata da rughe profonde.

“Adesso giungi?” disse incollerito Dio, “ora non mi resta nulla per te”. Si dispiacque il principe del deserto e si scusò: “Una lunga e impervia strada ho percorso, perdonami. Davvero non ti resta nulla per me?”.

Dio guardò il fondo del sacco e sospirò. “Guarda” disse e aperse il sacco di fronte al principe del deserto, “i grandi laghi li ho già dati. Tutto ciò che mi resta è una minuscola sorgente, un pozzo quasi secco e una piccola pozza d’acqua, nulla di più. Ho già ripartito tutti gli alti monti e le valli, mi son rimaste solo alcune alture erose dal vento che nessuno ha voluto. Tutte le piante le ho già sparse e mi sono rimasti solo alcuni arbusti spinosi e alcune piccole e polverose piante che nessuno ha preso. Il clima mite e quello primaverile li ho già assegnati a tutti e ciò che mi rimane è solo un clima ostile, bruciante di giorno e gelido di notte. “Per farla breve” concluse Dio, “non ho altro da darti se non una grande aridità e null’altro”.

Il principe del deserto ne fu addolorato e si incurvò. “Non fa niente” disse alla fine, “farò ritorno alla mia dimora, nel deserto, non ho bisogno di nulla, davvero”.

Dio vide l’afflizione del principe del deserto e disse, “no, non posso non darti qualcosa”. Dio rivoltò il suo sacco, e ne uscì sabbia finissima e calda, che diede vita a dune sconfinate, e rocce di ogni colore.

Dio consolò il principe del deserto e disse: “Non rattristarti, è vero, non hai ricevuto cime alte e innevate, e nemmeno fiumi lunghi e scroscianti. Non ho più a disposizione piante selvagge, farfalle e animali vigorosi. Ma presso di te, deserto” disse Dio, “giungeranno coloro che vedono in visione, profeti e solitari. Tra i tuoi crepacci si raccoglieranno gli amanti del silenzio e della natura, e presso di te, deserto, poiché sei così duro, si riuniranno tutti coloro che nel mondo ricercano la verità, la purezza e l’innocenza; presso di te” concluse Dio, “troveranno dimora coloro che cercano me”.

(storia popolare israeliana, via Midbar)

domenica 11 ottobre 2009

Sulle primarie del Pd

Come alcuni sapranno, il 25 ottobre ci sono le primarie del PD: è un momento di voto in cui i cittadini hanno la possibilità di scegliere chi sarà il segretario (chi darà la linea al partito) del Partito Democratico. E' un momento di democrazia molto importante, perché è il momento in cui i cittadini si tolgono la loro veste privata e hanno un ruolo pubblico-politico, dando forza alle proprie idee affinché esse vengano rappresentate.
Per chi fosse interessato, lo invito ad informarsi: votare è senz'altro un momento di maturità personale.
Vi metto tre link ai video-intervista fatti con i tre candidati alle primarie:


Franceschini

Bersani

Marino

Sono video senz'altro lunghi, ma che mostrano già alcune differenze e indicano alcune possibilità di scelta su alcuni temi...

In più: l'intervita delle Iene:

mercoledì 23 settembre 2009

Filosofia: metafisica

Per una pagina sulla metafisica:

"La scienza rifiuta il Niente e lo abbandona come nullità [la scienza si interssa dell'ente, di ciò che può essere indagato, il resto è niente; al di là di quello è niente]. Ma abbandonando il Niente in questo modo, non finiamo forse per ammetterlo? [...] Che cosa può essere per la scienza il Niente se non una mostruosità e una fantasticheria? Se la scienza ha ragione, allora una cosa è certa: del Niente la scienza non vuole saperne niente. [...] Eppure è altrettanto certo che dove cerca di esprimere la propria essenza essa chiama in aiuto il Niente. [Questa duplicità vale anche nella nostra vita e nel nostro domandare, perché ci accorgiamo di essere nel mezzo di un conflitto che si sviluppa nel nostro domandare che è più originario della scienza, a cui essa non può portare soluzione. Se vi è un domandare sul Niente, significa che lo avvertiamo come presente:] il Niente è la negazione della totalità dell'ente. [...] Quelli che noi chiamiamo sentimenti non sono un fenomeno fugace che si accompagni al nostro pensare e volere; eppure proprio in quanto ci conducono dinanzi all'ente, quei sentimenti positivi, ci nascondono il Niente. [In altri termini, è possibile avvertire la presenza del Niente dalle situazioni positive che viviamo: lo intravediamo come possibilità; possiamo, quindi, essere di fronte al Niente.] [...]
Essere di fronte al Niente è possibile, però, cioè è reale nello stato d'animo fondamentale dell'angoscia. [...] Nell'angoscia diciamo che uno è spaesato. Non possiamo dire dinanzi a che cosa uno è spaesato, perché lo è nell'insieme. Tutte le cose e noi stessi sprofondiamo in una sorta di indifferenza. Questo, tuttavia, non nel senso che le cose si dileguino, ma nel senso che proprio nel loro allontanarsi le cose si rivolgono a noi. Questo allontanarsi dell'ente nella sua totalità, che nell'angoscia ci accerchia, ci angustia. L'angoscia rivela il Niente. [...]
L'esserci dell'uomo di scienza ha la sua semplicità e la sua forza nel fatto di rapportarsi in un modo eccelso all'ente stesso e unicamente a esso. Con un gesto di superiorità, la scienza vorrebbe abbandonare il Niente. Ma ora, nel domandare del Niente, appare evidente che l'esserci dell'uomo di scienza p possibile solo se fin da principio si tiene immerso nel Niente. [...] La pretesa sobrietà e superiorità della scienza diventa qualcosa di ridicolo se essa non prende sul serio il Niente. Solo traendo la sua esistenza dalla metafisica, la scienza può riconquistare sempre di nuovo il suo compito essenziale, che non consiste nel raccogliere e nell'ordinare conoscenze, ma nel dischiudere l'intero spazio della verità della natura e della storia".

M. Heidegger, Che cos'è la metafisica?

Questo pensatore del secolo scorso mostra come il domandare metafisico, cioè quel domandare che produce un pensiero ordinato che va oltre al pensiero pratico, sia di fondamento sia alla vita dell'uomo (questi è posto di fronte alle sua angosce e non trova nella scienza una risposta accettabile; come dire: la metafisica fa parte dei pensieri dell'uomo, quindi va almeno rispettata) che di fondamento alle materie "più scientifiche" (la metafisica è il tentativo di trovare una risposta ad un domandare profondo che dà senso e ordine alle diverse scienze; come dire: la fisica è un nostro modo di vedere il mondo).

lunedì 21 settembre 2009

Campo a Monte Sole: riflessione + video

In fondo il video di sabato sera, chiaro che vederlo dal vivo ha un altro effetto...

Come affrontare la vita. Campo semi-itinerante a Monte Sole.
25agosto/2settembre 2009


Tornando dai campi, così come da una vacanza, capita di sentirsi interrogare sul come sia andata. Rispondere non è mai facile, soprattutto per un campo come il Semi-itinerante a MonteSole. Forse il modo migliore è quello di dire come si era prima di partire e cosa è cambiato al ritorno.
Io non ci volevo andare, non ne avevo voglia e potevo trovare numerosi motivi validi da usare come scusa. Però il tema, la lotta tra bene e male, la presenza del male nel mondo e la vittoria del bene, era molto stimolante; don Mario, inoltre, aveva sempre elogiato questo campo; pure qualcos'altro e qualcun altro ha influito. Mi sono fidato e mi sono affidato.
Così come hanno fatto quanti sono venuti: dovevano fidarsi che le camminate con gli zaini in spalla erano fattibili, che gli incontri con i testimoni delle uccisioni e delle stragi sarebbero stati indimenticabili, che ci saremmo divertiti, che saremmo cresciuti e che qualcosa sarebbe cambiato al ritorno. Ma chi poteva dar senso pieno alla loro fiducia?
Alla fine è andata realmente bene. Non perché non si sia fatta fatica, ma perché quella fatica ha prodotto uno stare insieme straordinario. Guardare dall'esterno questo gruppo di 45 ragazzi il primo giorno, e stare in mezzo a loro due giorni dopo dava prova di un mutamento, tanto che in molti si sono trovati contenti per qualcosa del campo per cui non avrebbero mai pensato: chi per gli incontri di gruppo, chi per la veglia, chi per il ritiro, chi per l'adorazione: quella fiducia era stata ripagata con un grande avanzo.
Io ero partito dubbioso; sì, il campo sarebbe stato bello, ma da soli, noi educatori, come avremmo fatto a far venir davvero bene il campo; cioè, al di là del semplice resoconto storico o della lezioncina solita?
È sempre la presenza del Signore a dare un senso di piacevolezza alle cose che si fanno: è quella presenza che si avverte quando qualcosa viene meglio del previsto, è quel di più che colma la misura laddove si incontrano le manchevolezze umane, il dolore e la morte. È l'affidarsi a Lui che dà valore al nostro operare. Non tutto capita per caso. Quegli incontri così belli (soprattutto quello con Pirini, testimone oculare dell'eccidio, con quello sguardo, quel modo di raccontare sorridendo, quella sicurezza nell'importanza di un perdono maturato con fatica. Ne siamo rimasti tutti coinvolti, tanto che, dopo l'incontro, tutti i ragazzi non discutevano più delle morti e delle stragi, ma di quel gesto d'amore; tanto che, due giorni dopo, in un gioco di ruolo, chi si era detto sicuro dell'impossibilità di un proprio perdono, ha difeso la necessità di quel gesto con grande abilità!), quella capacità di condividere le proprie fatiche, le proprie ansie, trovando negli altri un orecchio premuroso ed attento, non sono avvenimenti successi per caso: era quella fiducia che dava i suoi frutti. In questo si avvertiva la presenza superiore di qualcuno che ci aiutava e ci sorreggeva.
Affidarsi a Gesù, stare con Lui portando in spalla le nostre fatiche e i nostri dolori (da quello banale di chi si è fatto male in modo stupido alla caviglia, ad angosce ben più indelebili) ci ha mostrato una via di vita sensata, unica e incantevole: la via dell'amore che sconfigge la morte. La via di chi può non temere perché attraverserà i fiumi senza esserne sommerso e camminerà sul fuoco senza consumarsi. Ma è veramente così? Perché, allora, c'è il male nel mondo, perché c'è la morte, di chi è la colpa, ci si può chiedere.
Di sicuro un campo non basta per trovare una risposta, per trovare un po' di pace nel cuore; però, dopo Monte Sole, forse si può intravedere una luce da cui farsi guidare. Abbiamo capito che siamo chiamati a portare la nostra croce, talvolta a «completare con le nostre sofferenze quello che manca ai patimenti di Cristo». Non perché lo vogliamo, ma perché serve alla purificazione di tutti, cioè all'opera di resurrezione e di costruzione di una strada – un senso – nel deserto, così come alcuni interventi dei ragazzi aprivano una strada negli animi affaticati dei catechisti. Resta il dolore, ma sappiamo che in Cristo è sconfitto, perché l'amore trionfa. È, certo, un percorso lungo, difficile e tortuoso; diventa necessario quel faro incontrato a Monte Sole, affinché illumini la nostra selva oscura.

È veramente importante volerci stare, così come abbiamo fatto al campo. Avere fiducia nelle cose grandi, come abbiamo mostrato nelle cose minute. Essere luce, a nostra volta, verso i nostri fratelli. Nella consapevolezza, lo ripeto, che le cose non capitano a caso, e che, quindi, occorra viverle affidandosi. Perché un certo timore può essere un ostacolo all'incontro col Signore.
Forse è difficile pensare che un campo possa averci dato questa forza, ma allora quello che abbiamo visto negli occhi e che abbiamo sentito dai ragionamenti dei 45 ragazzi ce lo siamo immaginato.


giovedì 17 settembre 2009

Lollino

E' anche carina l'idea di un video di traverso: era nel verso giusto, ma l'ho girato io con grande difficoltà...

Grazie ragazze (un'idea di Armaroli)

Guardate Giulia quanto ci mette ad accorgersene...