domenica 24 ottobre 2010

Nel dolore per Davide, accettiamo di essere fragili

Articolo su La Repubblca - Bologna, di G. Verasani.

Quando un essere umano si toglie la vita, levento ci agghiaccia, ci turba, calamita i nostri "cosmici" interrogativi. Se è il suicidio di qualcuno a noi vicino, può insorgere la rabbia per un atto "egoistico" che provoca lo strazio di chi reta, oppure si fa largo il senso di colpa di non avere intuito, impedito, fatto abbastanza. C'è chi pianifica la propria fuga, e chi la mette in atto senza premeditarla (il più delle volte). Qualunque siano le ragioni di un gesto così irreparabile, siamo tutti chiamati, in primo luogo, a rispettare l'insostenibilità del dolore che deborda e che fa sì che la vita, sulla bilancia, valga meno del suo contrario. Se a "fuggire" è un ragazzo, forse la cosa più importante da chiedersi è perché noi adulti non sappiamo parlare della paura.
Paura di vivere, già. Paura del domani, paura che il futuro sia un grande buco nero, che ci sia ben poco da aspettarsi, che occorra essere dei superuomini per conquistarsi uno spazio. Chi li ha caricati di paura? Non sarebbe meglio, allora, parlare della fragilità, e non della forza, come di un fondamentale valore di scambio?
UN ragazzo di quindici anni che si toglie la vita provoca un trauma così annichilente che la comunità si stringe, accoglie quel dolore spiazzante: non lo capisce ma lo fa suo. E' questo che va fatto. Pacatamente, a bassa voce, consapevoli che non c'è una risposta, e che il rebus resterà irrisolto (perché si tratta della vita, non di un romanzo giallo).
Alcuni ragazzi del liceo Fermi si chiedono come è possibile che un loro coetaneo senza ombre, che se ne va ribadendo il suo affetto, senza additare colpe, il classico ragazzo "che mai te lo saresti immaginato", che "altri sì, ma lui no", "il ragazzo che aveva tutto", insospettabile, apparentemente sereno, si sia ucciso.
Tanti anni fa, un amico mi raccontò che un suo compagno di liceo, bello, intelligente, felice, un giorno spinse l'acceleratore contro un grosso Tir, deliberatamente. E anche lì si disse: "Ma come? Aveva tutto!"
Ma cos'è questo tutto?
Qui c'è un padre che dice: "Aiutatemi a capire!", e la televisione gli risponde: "Parlate ai vostri figli!", come se fosse uno slogan.
Il problema è che della morte, del dolore, persino del dolore di non provare dolore, non sappiamo parlare ai ragazzi. Essi sono attanagliati dall'ansia di sbagliare, di competere, di emozionarsi, possedere cose, avere un'immagine. Possibile che solo Vasco Rossi spieghi loro che la vita forse non ha senso, am che quel senso vale la pena cercarlo? Non c'è da stupirsi se la confusione, i dubbi, lo stress, si traducono, in certi casi estremi, nel deprezzamenteo della vita come atto di silenzio antagonistico al rumore più assordante, al caos più indecifrabile. Un silenzio, quello di Davide, che è fine dei tormenti e delle gioie.
Non possiamo entrare in quel tormento, che resterà sempre insoluto. Possiamo solo sforzarci di spiegare ai ragazzi come lui che essere forti significa accettare di essere deboli, perché siamo umani, fallibili, imperfetti, e che l'unica forza possibile è condividere le nostre debolezze.
Davide non ha trovato un altro modo di reagire. Per quanto ci sembri assurdo, per quanto dolore provochi, prima di ogni analisi sociologica è alla sua vita e alla sua morte che dobbiamo portare rispetto, che è anche il rispetto verso noi stessi, e verso la nostra immensa, imperscrutabile fragilità.

martedì 19 ottobre 2010

Preghiera + Incontro domenica!!!

Al termine della strada.
      Al termine della strada,
      non c’è la strada
      ma il traguardo.

      Al termine della scalata,
      non c’è la scalata
      ma la sommità.

      Al termine della notte,
      non c’è la notte
      ma l’aurora.

      Al termine dell’inverno,
      non c’è l’inverno,
      ma la primavera.

      Al termine della disperazione,
      non c’è la disperazione,
      ma la speranza.

      Al termine della morte,
      non c’è la morte
      ma la vita.

      Al termine dell’umanità,
      non c’è l’uomo,
      ma c’è l’Uomo –Dio

      J. Folliet














DOMENICA 24, ORE 18.00, INCONTRO CON I GENITORI!!!


A SEGUIRE, ORE 19.30, CENA ASSIEME: PORTATE IL SALATO!!!