mercoledì 15 giugno 2011

Libri per l'estate: per crescere!

Qualche consiglio libresco per chi dovesse passare un paio di settimane in vacanza coi suoi, oppure per chi volesse non sprecare il proprio tempo e cercare di crescere... Sono tutti capolavori: buon divertimento...

A. Camus, Lo Straniero.
Th. Mann, I Buddenbrook.

F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov; I Demoni.

H. Hesse, Siddharta.
I.B. Singer, Il mago di Lublino.

I. Calvino, Se una notte di inverno un viaggiatore.
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (e Il gattopardo nel flusso del tempo, a cura di B. Maj).
L. Sciascia, Il mare colore del vino; Le parrocchie di Regalpetra.
D. Dolci, Racconti siciliani.

F. Kafka, Il Processo.

K. Vonnegut, Mattatoio n.° 5; Madre notte.
J.D. Salinger, I nove racconti.
E. Hemingway, I 49 racconti.
H. Boll, Opinioni di un clown.

M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita.
M. Yourcenar, L'opera al nero.

H. de Balzac, Le illusioni perdute.
M. Proust, La strada di Swann.
C. Pavese, La luna e i falò.
M. de Montaigne, I Saggi.

venerdì 10 giugno 2011

Full Metal Jacket

Uomini cartuccia, rivestiti di piombo per non sentire la propria umanità: macchine per uccidere, piuttosto che uomini. Addestrati dal terribile sgt. Hartmann in un perorso di anti-formazione, i marines sbarcano in Vietnam, luogo eponimico delle guerre cittadine nel Golfo e paesi Arabi degli anni '90 e 2000.
Nei marines ci siamo noi, quando subiamo un addestramento feroce con cui perdiamo la nostra umanità; istruiti e fiaccati nella nostra capacità di scelta, abituati a subire qualsiasi cosa pur di obbedire ad un comando bieco. Siamo manovrati, così come lo furono i soldati in Vietnam.
Siamo trasformati in killer-machine, cioè, prosaicamente, in macchine da consumo, mandati al macello del mercato piuttosto che non della guerra.

E la guerra, nel film, è quell'inferno in cui le anime oscurate dei soldati trovano il loro sfogo, giungendo a compimento di un percorso formativo che inizia con la rasatura iniziale e che passa per una deriva sessuale che si esprime sia nella volgarità dell'istruttore, che negli atteggiamenti dei soldati nei confronti delle donne vietnamite. Alla fine, passati attraverso l'omicidio-suicidio di PallaDiLardo, anche Joker raggiungerà la propria trasformazione (i volti inquadrati ce lo raccontano con puntiglio): anche lui diventa un duro.

Full Metal Jacket: l'intervista...
Conclusione

martedì 7 giugno 2011

Don Milani sull'acqua bene comune...

Don Milani sull'acqua, in una lettera a Bernabei, direttore del "Giornale del mattino":
Caro direttore, a rileggere l’articolo 3 della Costituzione, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…” mi vengono i bordoni. Oggi non volevo parlarti dei paria d’Italia, ma d’un’altra cosa. C’è questa legge 991 (legge per la montagna che garantisce finanziamenti e agevolazioni fiscali, ndr) che pare adempia la promessa del secondo paragrafo dell’articolo 3: “… è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini”. A te, cittadino di città, la Repubblica non regala un milione e mezzo, né ti presta i soldi. A noi sì. Basta far domanda… Infatti eravamo già a buon punto perché un proprietario mi aveva promesso di concederci una sua sorgente assolutamente inutilizzata e inutilizzabile per lui, la quale è ricca anche in settembre e sgorga e si perde in un prato poco sopra alla prima casa che vorremmo servire. Due settimane dopo, un piccolo incidente.

Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s’è svegliato d’umore diverso e m’ha detto che la sorgente non la concede più. Ho insistito. S’è piccato. Ora non lo scoscendi più neanche colle mine. Ma il guaio è che quando ho chiesto a un legale se c’è verso d’ottenere l’esproprio di quella sorgente, mi ha risposto di no. Sicché la bizzettina di quell’omino, fatto insignificante in sé, ha l’atomico potere di buttar all’aria le nostre speranze d’acqua, il nostro consorzio, la famosa 991, il famoso articolo 3, le fatiche dei 556 costituenti, la sovranità dei loro ventotto milioni di elettori, tanti morti della Resistenza (siamo sul monte Giovi! ho nel popolo le famiglie di quattordici fucilati per rappresaglia). Ma qui la sproporzione tra causa ed effetto è troppa! Un grande edificio che crolla perché un ragazzo gli ha tirato coll’archetto! C’è un baco interiore dunque che svuota la grandiosità dell’edificio di ogni intrinseco significato. Il nome di quel baco tu lo conosci. Si chiama: idolatria del diritto di proprietà. A 1995 anni dalla Buona Novella, a sessantaquattro anni dalla Rerum Novarum, dopo tanto sangue sparso, dopo dieci anni di maggioranza dei cattolici e tanto parlare e tanto chiasso, aleggia ancora vigile onnipresente dominatore su tutto il nostro edificio giuridico. Tabù. Son dieci anni che i cattolici hanno in pugno i due poteri: legislativo ed esecutivo. Per l’uso di quale dei due pensi che saranno più severamente giudicati dalla storia e forse anche da Dio?…


Guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare… Peccatori come gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri no… Che i legislatori cattolici prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e stilino una 991 molto più semplice in cui sia detto che l’acqua è di tutti. Quando avranno fatto questo, poco male se poi non si riuscirà a mandare due carabinieri a piantar la bandiera della Repubblica su quella sorgente. Morranno di sete e di rancore nove famiglie di contadini. Poco male. Manderanno qualche accidente al governo e ai preti che lo difendono. Poco male. Partiranno per il piano ad allungarvi le file dei disoccupati e dei senza tetto. Non sarà ancora il maggior male. Purché sia salva almeno la nostra specifica vocazione di illuminati e di illuminatori. Per adempire quella basta il solo enunciare leggi giuste, indipendente dal razzolar poi bene o male. Chi non crede dirà allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri dogmi e delle nostre certezze, negherà che Dio ci abbia parlato o che il Papa ci possa precisare la parola di Dio. Dicendo così avrà detto solo che siamo un po’ troppo cattolici. Per noi è un onore. Ma sommo disonore è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il male, e a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri.

mercoledì 1 giugno 2011

Sono finiti? Anno zero...

A. Gramellini su La Stampa:
Ieri in Italia sono finiti gli Anni Ottanta. Raramente nella storia umana un decennio era durato così a lungo. Gli Anni Ottanta sono stati gli anni della mia giovinezza, perciò nutro nei loro confronti un dissenso venato di nostalgia. Nacquero come reazione alla violenza politica e ai deliri dell’ideologia comunista. L’individuo prese il posto del collettivo, il privato del pubblico, il giubbotto dell’eskimo, la discoteca dell’assemblea, il divertimento dell’impegno. La tv commerciale - luccicante, perbenista e trasgressiva, ma soprattutto volgarmente liberatoria - ne divenne il simbolo, Milano la capitale e Silvio Berlusconi l’icona, l’utopia realizzata. Nel pantheon dei valori supremi l’uguaglianza cedette il passo alla libertà, intesa come diritto di fare i propri comodi al di fuori di ogni regola, perché solo da questo egoismo vitale sarebbe potuto sorgere il benessere.

Purtroppo anche il consumismo si è rivelato un sogno avvelenato. Lasciato ai propri impulsi selvaggi, ha arricchito pochi privilegiati ma sta impoverendo tutti gli altri: e un consumismo senza consumatori è destinato prima o poi a implodere. Il cuore del mondo ha cominciato a battere altrove, la sobrietà e l’ambientalismo a sussurrare nuove parole d’ordine, eppure in questo lenzuolo d’Europa restavamo aggrappati a un ricordo sbiadito. La scelta di sfidare il Duemila con un uomo degli Anni Ottanta era un modo inconscio di fermare il tempo. Ma ora è proprio finita. Mi giro un’ultima volta a salutare i miei vent’anni. Da oggi si guarda avanti. Che paura. Che meraviglia.

E L'Amaca di ieri di M. Serra:
Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell’edonismo fintoallegro, dell’ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction. Quello che verrà dopo, non lo sappiamo. Ma sappiamo, finalmente, che un dopo esiste, e questo bastava, a Milano e altrove, per abbracciarsi con gli occhi pieni di benedette lacrime. Voglio dedicare questo giorno di felicità e di liberazione ai due o trecento ragazzini salariati che ho incontrato in piazza del Duomo al comizio di chiusura della Moratti: facevano pensare a una vecchia canzone di Gaber: “Non sanno se ridere o piangere, batton le mani”. Il set che, di qui in poi, verrà inesorabilmente smontato era anche il loro set. Vorrei tanto che anche per loro cambiasse qualcosa. Io vengo da una famiglia di destra, e non era una destra così triste. Era una destra onesta, silenziosa, sobria, borghese. È stato un bel luogo dove crescere, e un bel luogo dal quale fuggire verso la mia vita. Quello che Berlusconi ha fatto alla destra italiana è spaventoso. Non gli potrà mai essere perdonato.