martedì 28 aprile 2009

La fede è relazione, come la nostra vita, per questo ci riguarda

Nella relazione con Dio, relazione in cui siamo amati, abbiamo fiducia del suo amore perché è fedele. Gesù ha sperimentato su di sé questo, restando fedele fino alla fine (il grido "perché mi hai abbandonato?" evidenzia ciò), e lo fa sperimentare anche a noi mediante la propria resurrezione e in alcuni gesti evidenti.

Il primo, che ritorna tale anche per noi, avviene nell'incontro sulla strada verso Emmaus (Luca 24, 13-35): il senso della vita di Gesù non è determinato dalla croce, e così anche per noi cristiani, ma è determinato dall'amore totale e donativo di Dio. I discepoli di Emmaus, che non lo riconoscono perché hanno il cuore chiuso, cuore che pure vibrava loro in petto mentre gli parlava, rappresentano il massimo punto di sfiducia (proprio di chi si crea il proprio Dio come gli pare e piace). Eppure Dio è fedele, e il suo messaggio ha valore: è un amore totale. I discepoli, infatti, lo riconoscono - gli si aprono gli occhi - nel momento in cui egli dona il suo corpo!

La rassicurazione di Gesù è tale che la nostra vita ne resta sconvolta e, in una logica relazionale, ci conduce alla singolarità dell'esperienza d'amore, alla realizzazione completa di noi stessi. Questo è il vero amore perché, sentendomi già amato, io non devo che acconsentire alla relazione del Dio visibile, tale perché lo sperimento nella mia vita.

Il secondo brano di stasera, il giovane ricco (Marco 10, 17-22), ci mostra la qualità e la necessità di tale relazione per essere noi stessi. Gesù stabilisce e dà senso a questa relazione; prima il giovane è nell'ombra, solo le tre azioni (fissare, amare, dire) lo qualificano e definiscono i suoi caratteri peculiari. L'incontro avviene oltre la ricerca, pur importante, del giovane, laddove Gesù gli dice che tutto è da Dio: il desiderio di sé, per trovare un senso completo alla propria vita, si realizza solo nel rapporto con Dio. E' nell'incontro "esistenziale" con Dio, se lo vogliamo, che questo è possibile.

Realizzare se stessi è un appagamento che non parte da un sapere o da un fare, da un avere o da un possedere, bensì dal ricevere da Dio, dall'esistere all'interno della relazione: è un percorso.

Il giovane, definito dallo sguardo di Gesù, si rabbuia in volto, ritorna nell'ombra e non segue Gesù. Capiamo, così, che la prima cosa da fare, per "capire", se veramente lo vogliamo, cosa sia la fede, è seguire Gesù. Il giovane si rabbuia, sperimenta l'amore ma non si riconosce amato.

Un cammino di fede, di incontro, significa seguire. Provarci.

"Chi non ama rimane nella morte ... Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi" (1 Giovanni 3, 14. 16)


Chi vuole può aggiungere qualcosa...

mercoledì 22 aprile 2009

Sulla sua scia (per ora riguarda noi)

Nel percorso di fede, un passo importante è capire con cosa si ha a che fare e quanto e perché riguarda anche la nostra vita. Tralasciando ogni tipo di racconto storico-esegetico, che si impernia sulla centralità della resurrezione come prova della fedeltà di Dio, per noi è più interessante trattenere quanto riguarda immediatamente noi: tutto il resto può essere sospeso, ora indaghiamo solo con la nostra ragione e col nostro cuore.

Il percorso che rivela la fede di Cristo è quello che conduce alla passione e alla croce. Se ci interessiamo solo della parte storica di Gesù, possiamo notare due passaggi decisivi: la preghiera nel Getsemani (Marco 14, 32-42) e la crocifissione e la morte (Marco 15, 29-37). Ci interessano perché mostrano fino a che punto è possibile stabilire un rapporto con il Padre e, soprattutto, che la fede è una relazione.
Primo, fino a che punto: fino al punto più profondo. Possiamo notare l'agonia di Gesù, cioè un sentimento di angoscia e dolore misto alla disposizione a lottare. Secondo, proprio in quanto "agonica", la fede è un rapporto di incontro (poi possiamo scegliere di starci, ma intanto lo riconosciamo...). Gesù non evidenzia la lontananza di Dio, ma uno starci di entrambi, anche di fronte ad un compimento angosciante (eppure c'è chi sperimenta l'angoscia nella propria vita: alcuni si accorgeranno che anche lì si può incontrare il Signore). Il riconoscimento non è un'adesione passiva (non è un obbedire ad un comandamento), ma il compimento della propria vita. Gesù nel Getsemani si chiede se questo compimento sia possibile evitando la passione, evidenziando il rapporto personale che Dio stabilisce con ogni uomo, a partire dal Cristo. Sulla croce, la recitazione del "Dio mio perché mi hai abbandonato" (Salmo 22) - che è una lettura, chiaramente, post-pasquale, consapevole cioè della resurrezione - è l'ultimo gesto possibile di speranza e di attesa, laddove l'uomo è privato di tutto. Per questo non è diverso dal "Padre nelle tue mani affido il mio spirito", perché questo, gesto estremo della fede, è realmente avvenuto.

Questa esperienza di Gesù è la prova della totalità della fede, di chi ci sta fino in fondo, consapevole (con i tanti dubbi del Getsemani e della croce, e chissà quanti altri nella salita al Golgota) dell'amore totale di Dio. Gesù è sempre fedele, e questo passo ha permesso a quella storia di maledizione (maledetto colui che penderà dal legno, Deuteronomio 21, 23) di essere storia di salvezza per il mondo.

Noi siamo salvati per quella fede, che può essere anche la nostra fede. Ovviamente, lo ricordo ancora, essere persone di fede non significa dover compiere quegli stessi atti, non significa dover morire in croce o perdere la propria vita, ma realizzare se stessi nella fiducia di Dio.
Capendo questo ci avviciniamo di buona lena alla professione di fede.
Poi ci sono tante altre cose. Quella fede è importante nella nostra vita perché, da grazia donata, a cui noi dobbiamo consentire, trasforma il nostro vivere in quanto ci permette di stabilire una relazione che ci salverà dalla morte e che muterà la nostra vita tanto che le relazioni del mondo (quelle che daranno senso del nostro vivere), improntate sul confronto (facile, più spesso difficile) sempre ricco con Dio: un modo in cui ognuno di noi (l'io) non si appropria dell'altro (il tu) lasciandosi determinare dal nulla.
Se è vero che ci si può arrivare anche per vie traverse, dobbiamo pensare che a noi questo è stato donato e, rifiutarlo (che vuol dire non impegnarsi; il riconoscimento arriverà più avanti, ora ci è chiesto di impegnarci) ci mette in contraddizione con la volontà di realizzare noi stessi.

Altri due punti interessanti sono: la libertà e il rapporto con gli altri. Riguardano la nostra vita, ne parleremo.
E' tutto chiaro???

martedì 14 aprile 2009

Pasqua: la fede nella Resurrezione ci fa amare il presente

Vi riporto un articolo del Card. Martini che mette in relazione la catastrofe abruzzese con il tema della presenza/assenza di Dio nel mondo, letta alla luce della Pasqua.

SCOPPIO DI LUCE SUL MONDO
Che cosa è essenziale alla Pasqua? Dove sta il fatto originario che celebrano i credenti?
Chi è entrato in questi giorni nelle chiese cristiane, e ha assistito a come in esse sono state celebrate le funzioni liturgiche nei diversi giorni della Settimana Santa, può avere avuto l'impressione di un succedersi di gesti, di riti, di preghiere, in cui risultava difficile precisare il tema fondamentale, capire dove stava la loro unità. Molti infatti sono gli eventi richiamati in quei giorni, in cui si è ripercorso il cammino dell'ultima settimana di Gesù a Gerusalemme, dal solenne ingresso nella città, rivissuto nella "domenica delle Palme", fino alla sua cattura, alla passione e morte, alla scoperta del sepolcro vuoto e alle sue apparizioni ai discepoli. Di fronte a questa ricchezza di eventi, letti anche alla luce di una lunga serie di altre letture bibliche, ci si domanda: quale è il fatto centrale, originario, quello nel quale tutto questo trova insieme la sua origine e la sua spiegazione?

Questo fatto non è descritto da nessuno, non è stato visto da nessuno. La liturgia romana ci dice, nel canto solenne che precede le funzioni della notte di Pasqua: «O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi». Che cosa è avvenuto in quell'ora sconosciuta, nell'oscurità nella tomba di Gesù? Possiamo comprendere qualcosa di questo evento guardando gli effetti di questo mistero con gli occhi della fede.
Lo Spirito Santo è sceso con tutta la sua potenza divina sul cadavere di Gesù. Lo ha reso «spirito vivificante» (cfr Lettera di san Paolo ai Romani 1,4), gli ha dato la capacità di trovarsi presente dovunque, in qualunque luogo e in qualunque tempo della storia.
È stato come uno scoppio di luce, di gioia, di vita. Là dove c'era un corpo morto e una tomba senza speranza è iniziata un'illuminazione del mondo che dura ancora fino a oggi.
Quando Gesù diceva, alla fine del Vangelo secondo Matteo: «Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» intendeva questa presenza di risorto, di quella forza di Dio operante in Gesù che ciascuno può sentire dentro di sé, purché apra gli occhi del cuore. Questo spirito non si manifesta con parsimonia, ma con ampiezza e liberalità.
Oggi, riproponendo il grido della Pasqua, la Chiesa rivolge al mondo un annuncio di speranza. Questo annuncio riguarda tutti, tocca i singoli, le comunità, le società. Ogni uomo, ogni donna di questa terra può vedere il Risorto, se acconsente a cercarlo e a lasciarsi cercare. Comincia da qui la storia della Chiesa, che è storia anzitutto delle conseguenze di questo dono. Gli uomini possono magari utilizzare male questo dono o anche opporsi a esso, ma in realtà esso fa il suo cammino nella storia, crea le moltitudini di Santi, sia conosciuti che sconosciuti. Dà, a ciascuno che lo desidera sinceramente, di entrare nelle intenzioni di Cristo, nel suo amore ai poveri, nella sua lotta per la giustizia, nella sua dedizione per ogni persona, nel suo spirito di libertà, di umiltà, di adorazione e di preghiera. Chi guarda al mondo di oggi con gli occhi della fede, ne riconosce tutte le brutture e le distorsioni, ma vede anche lo Spirito operante per salvare questo mondo.
Ma chi riconosce oggi il cambiamento che è avvenuto nella storia? Chi sente la presenza del Risorto che ci accompagna?
Chi ha una fede piena in Gesù, chi si volge a Dio con tutto il cuore, chi si libera dalla schiavitù del successo e del denaro, chi si converte dalla tristezza e dalla meschinità a una visione larga dell'universo, aperta sul l'eternità. Dobbiamo accettare che l'amore di Dio dissolve la paura, che la grazia rimette il peccato, che l'iniziativa di Dio viene prima di ogni nostro sforzo e ci rianima, ci rimette in piedi da ogni caduta. La fede nella risurrezione, non è fuga dal mondo, al contrario, ci fa amare il tempo presente e la terra, è capacità di vivere la fedeltà alla terra e al tempo presente nella fedeltà al cielo e al mondo che deve venire.
Vi sono tempi in cui questo riconoscimento è particolarmente difficile: sono i tempi delle grandi sventure, delle catastrofi che toccano molta gente, in particolare i bambini. Ma anche qui, per chi sa leggere con gli occhi della fede, non manca una presenza del Risorto.
Proprio ora ricevo dalle zone terremotate dell'Abruzzo un messaggio che suona così: «Dalla tendopoli ... i più cari auguri. Il Signore venuto a curare le ferite dei cuori spezzati ci ha scelti perché lo aiutassimo. Sia questa la nostra vera gioia. Un fraterno abbraccio».

sabato 11 aprile 2009

Lodi Mattutine, Sabato Santo


Il giorno della discesa agli inferi di Gesù: il giorno del silenzio. Si tratta di un silenzio di chi sa aspettare, un silenzio non previsto ma necessario. Come vediamo dall'icona russa della scuola di Novgorod, Gesù scende negli inferi per trarne fuori i morti e prende le anime dei defunti, non semplicemente per mano, ma dal polso, come a tastarne la vita e nel gesto di trascinare su qualcuno che non è capace di alzarsi da solo. E' un gesto significativo, che evidenzia la specificità dell'azione salvifica di Gesù (e in generale la premura di Dio nei nostri confronti).

Per pregare:
O Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario: per venire in comunione con Dio Padre; per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi; per essere rigenerati nello Spirito Santo. Tu ci sei necessario, o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo. Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostre miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità; per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della fiustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace. Tu ci sei necessario, o grande paziente dei notri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare a essa un valore di espiazione e redenzione. Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione e per avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all'incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli.

Cristo: Vita dell'uomo di oggi nella parola di Paolo VI, a cura di V. Levi

venerdì 10 aprile 2009

Le mattinate nel triduo pasquale: per capire occorre STARCI


Se il sentimento è quello di voler restare nel letto, la proposta va oltre il problema del sonno: le lodi mattutine durano 15 minuti, poi chi vuole resta a far colazione e gli altri possono tornare a dormire.
Evitato il problema sonno, ci si può concentrare sul perché esserci: intanto perché è un'attività del gruppo, inoltre perché è un modo per sottolineare l'attenzione partecipata alla passione-morte-resurrezione di Gesù che, come abbiamo capito nel percorso della professione di fede, è centrale nel nostro essere cristiani, tanto che ci riguarda in ogni ambito più di quanto ancora non immaginiamo. Accogliere la fede, starci, significa impegnarsi e partecipare a questi appuntamenti, cercando di andare al di là della pigrizia adolescenziale, per un motivo sopra tutti gli altri: quando la pigrizia passerà e si avrà voglia di fare qualcosa (sempre che la pigrizia non si sia impadronita del proprio modo di essere), si rischia di aver perso quel tanto che altri hanno invece compiuto, e fare i conti allora sarà sconfortante.

lunedì 6 aprile 2009

L'albero di Pasqua: Cultura di accoglienza

E' uscito il nuovo numero del giornale dell'Associazione e contiene due pagine sull'esperienza dai senzatetto della stazione: prendetelo, vi riguarda!!!



Ero forestiero e mi avete ospitato è il sottotitolo che guida la lettura degli articoli del giornale; come sottolineato dall'approfondimento di apertura: ci è sembrato che in questo momento di crisi economica venissero fuori tutte le difficoltà sociali delle nostre città e della nostra cultura capitalistica. Come se, per uscire dalla crisi, fosse opportuno occuparsi delle situazioni di bisogno che ci circondano; come se fosse necessario, ripensando ad un sistema economico diverso dal fallimentare capitalismo liberale, dedicarsi ad uno "sviluppo" sociale che non sia solo a scapito degli altri. Senza occuparsi di teorie economiche, nel giornale portiamo qualche esempio e riflettiamo sulle nostre esperienze e sul loro "perché"...

Come scrive Madre Teresa di Calcutta in occasione della Via Crucis del 1976:
Simone di Cirene si caricà della croce e si mise a seguire Gesà, aiutandolo a portarla ... Il bimbo affamato che mangia il suo pezzetto di pane briciola a briciola per timore che finisca prima di saziare la fame: questa è la prima stazione della Via Crucis ... Gesù cade di nuovo QUante volte abbiamo raccolto per le strade gli esseri umani che erano vissuti come anumali e che anelavano a morire come angeli? Non voltate le spalle ai poveri perché i poveri sono di Cristo. Siete stati autentici Cirenei ogni volta che avete compiuto una di tali azioni e di tali gesti.

mercoledì 1 aprile 2009

I valori dell'onda e del conformismo


Ieri sera abbiamo visto l'Onda: un film che evidenzia l'appetibilità di un sistema autocratico in una società con pochi valori. Autocrazia è un regime politico che concentra nelle mani di pochi il potere e l'orizzonte culturale cui fare riferimento. Il film ne indica una deriva incontrollabile: il discorso del professore, che riprende i classici temi del nazifascismo (Hitler e Mussolini, per intendersi), e la scena finale in cui i ragazzi cercano di rendersi conto di quanto gli è accaduto durante la settimana: alcuni sono accasciati sull'erba, rendono merito della gravità della situazione creatasi. Il gruppo dell'Onda diventa un'organizzazione che impone sugli altri il proprio modo di "pensare" e di agire, tenendo conto che non vi è nessuna convinzione profonda che fa nascere quel movimento se non la solitudine e l'insicurezza (anche la follia, se vogliamo) di quegli adolescenti.
Oltre al tema "politico" che ci riguarda come ammonizione per le nostre coscienze: "ragionate", dice Marco alla fine; il film ci può interessare per il problema del conformismo che tendiamo a sviluppare nei nostri piccoli gruppi: se il tema del film è molto forte (ci tiene incollati allo schermo), in piccolo le stesse cose possono accadere anche a noi.

Ma non voglio procedere oltre, vorrei che foste voi a commentare le parti del film che più possono essere risultate interessanti: se non è chiaro quello che ho scritto, vorrei che foste voi a rifletterci sopra e a domandare delle spiegazioni.
Se può esservi utile, guardate la recensione di Mereghetti su Corriere.tv. Aspetto la vostra voce...