venerdì 18 gennaio 2008

Le scelte intelligenti

"Ma non vi è nessun uomo che, rispetto alla questione dell'esistenza di Dio, sia totalmente privo di interesse, poiché quand'anche uno dovesse essere lontano dall'interesse morale per mancanza di buone intenzioni, gli resterebbe abbastanza, tuttavia, per fargli temere un'esistenza divina e una vita futura."

I. Kant, Critica della ragion pura, B858


Non si pone il problema di quale fede scegliere e come scegliere, perché la scelta non può spiegarsi in termini razionali. Si pone il problema di come qualificare quella scelta, di notarne le basi che la permettono: vi è, infatti, sia un comportamento "razionale", che un atteggiamento morale a fondamento. Ciò significa un percorso di difficoltà e fiducia che non può essere immediato, e che contempla la necessità di uno sforzo.
Compierlo, va da sé, significa avere una morale: ricercare Dio significa avere cura della propria interiorità e di riflesso della totalità della propria vita, perché una ricerca di quel tipo (compiuta in modo intelligente) ci porta alla felicità; anche quando ricercarlo ci porta lontano da lui, o quando l'avvicinarci ad esso ci pare banale.

giovedì 17 gennaio 2008

Che riguardi anche la scuola?

Dal discorso che il papa avrebbe dovuto leggere alla Sapienza:
"Ma ora ci si deve chiedere: E che cose è l'università? Qual è il suo compito? E' una domanda gigantesca alla quale posso cercare di rispondere soltanto con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità [...], che è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere. Ma la verità non è soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra scientia e tristitia: il semplice sapere rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene e il perseguimento della felicità, che si basa su di un a partecipazione ragionevole alla vita."

lunedì 14 gennaio 2008

Guerra e pace (ama il tuo nemico!?!)

Parlare di guerra e di cristiano comporta immediatamente una divergenza non sottovalutabile, in parte perché il cristianesimo ha una concezione di rispetto dell'altro che la guerra, l'odio verso gli altri, non può accettare (e neanche un certo tipo di individualismo per cui mi faccio i fatti miei e mi disinteresso degli altri).
Il comando divino dell'amare il proprio nemico (Matteo 5, 43-47) ci lascia perplessi per quanto riguarda la sua possibile realizzazione, in quanto siamo anche abituati a pensare che se qualcuno ci fa uno sgarbo ce la deve pagare, sennò ci metterà i piedi in testa quando vuole.
La mia domanda è però semplice: come facciamo a sapere che non sarà così, se non abbiamo mai provato a non vendicarci e a porgere l'altra guancia?

L'amare il proprio nemico non significa essere ingenui o farsi schiavizzare, ma contiene una considerazione che rigettiamo perché difficile da concepire ed accettare, quella che ognuno sia una persona, anche quando ci procura un dispiacere o ci fa un dispetto. E' più semplice scappare che restare lì ed amare il "nemico". Dov'è che dimostro più coraggio, però?
L'amore del nemico non è amore per il fatto che qualcuno ci odi, o ci mostri rancore, ma è la non-esclusione di costui dalle nostre possibilità di amare; amarlo significa riconoscere in esso la presenza divina, o, se vogliamo, l'universalità dell'essere umano.
La guerra, l'inimicizia per noi, è il vizio contrario della pace, del rispetto reciproco e della tolleranza dell'altro. Ed è una soluzione complessa e non facilmente comprensibile, perché è più facile tacciare l'altro di diversità, di essere arretrato, di essere più stupido e quindi più cattivo di me. E' più semplice, ma non corretto.
Sorgono dei dubbi sulle nostre capacità di amare se scegliamo la comoda via del non accettare l'altro, perché porgere l'altra guancia e operare la pace corrisponde al voler ascoltare l'altro, all'amarlo per come è, nonostante i suoi difetti, senza aspettare delle prove d'amore.

Sembra incongruo, perché riguarda noi stessi e ci mette in crisi in quanto si fa fatica ad accettare di non essere perfetti come vorremmo, inoltre l'altro problematizza e limita il mio vivere (se non posso litigare con chi mi toglie spazio, posso cercare di convivere con esso e posso capire che esiste anche un altro!); ma è razionale, perché è la diretta conseguenza dell'universalità dell'imperfezione umana e della necessità della convivenza: puoi amare il tuo nemico perché solo così puoi sperare di vivere bene. Per attualizzarla potremmo vedere il "nemico" negli atteggiamenti che le persone che ci sono vicine hanno spesso nei nostri confronti quando ci riprendono o puniscono; l'amare questo significa capire perché si comportano così e vivere meglio con esse.
Lasciamoci trascinare allora, e scopriremo che non saremo mai i primi a tentare d'amare il nemico che è nei nostri amici o nelle persone a cui vogliamo bene.

Certo, sarà sempre più semplice scappare...