mercoledì 26 gennaio 2011

Cercando un fine liberi dalle mode

Don Milani, priore di Barbiana, nella sua esperienza pastorale, ci sottopone due gravi questioni antropologiche e politiche: il primato della coscienza sulla legge e la reale disuguaglianza dell'uomo. Risponde ad entrambe con due tra i testi testi più profetici del secolo passato; come ovvio, un testo profetico è qualcosa che va oltre la lettera di ciò che dice e il significato che veicola agisce nella storia oltre ogni aspettativa. Sia Lettera ai giudici (di cui parlammo un anno fa), che Lettera ad una professoressa hanno significato e hanno agito nella società italiana più di tanti altri testi e, ancora oggi, possono dirci delle cose sulla nostra vita che sono attualissime. Basta saperle trovare (e volerlo). Entrambi hanno offerto occasione di approfondimento per intere generazioni, momenti di riflessione per ripartire e tentare di costruire una società diversa. Sono, inoltre, scritti sui poveri, scritti dai poveri: è la rivoluzione non pensata dall'alto, ma voluta e costruita dal basso; ben al di là del comunismo e di ogni altro tentativo umano. E' profetico e, in parte, incomprensibile, ma affascinante per lo squarcio sul futuro che ci offre.

Nel testo letto stasera, don Milani insiste sul rilievo della parola: lottare contro la moda del disimpegno e dello svago, per impadronirsi della parola e usarla opportunamente. Per diventare sovrani, per agire con responsabilità e per vivere bene nella società, da esseri consapevoli, non da bestie che seguono la massa. Le nostre parole sono le nostre idee: siamo noi. E la capacità di conoscere le parole giuste da impiegare ci offre la possibilità di raccontare e conoscere meglio noi stessi. Don Milani non si sofferma sulla conoscenza della parola (che già è molto: la teoria è la capacità di osservare e conoscere il mondo); ma sottolinea l'importanza di esercitare quella teoria nella vita. Così vale per noi: le riflessioni che compiamo a scuola ci servono nella vita se le sappiamo trasporre nel nostro vissuto. Se siamo intelligenti!!! Studiare ha un rilievo pratico: l'intelligenza vale nella vita.

E ancora ci accorgiamo di quanto sia attuale nell'esempio della pubblicità, che crea quel dislivello per cui ci sentiamo sempre inferiori e sempre nella condizione di dover inseguire, e nell'esempio di quei programmi, come Kalispera, in cui ci viene trasmesso il messaggio che solo chi ha il denaro può permettersi di essere felice e che tutti gli altri sono sudditi che devono obbedire e ammirare il padrone da lontano.
E' facile rendersi conto che il messaggio di don Milani, dell'essere tutti sovrani, non può che essere in antitesi rispetto ad un berlusconismo che adora il potere del capo verso cui agire in modo succube. In una vita in cui contano solo i cinque minuti di notorietà, e tutto il resto è spazzatura.
Don Milani è radicale: è vero il contrario: contano tutti i momenti della nostra vita, tanto che le dis-trazioni ci allontanano dal senso e dal fine della nostra vita e ci rendono prigionieri della moda.

Sfuggire alle mode per essere liberi significa sapersi costruire la propria libertà nell'esercizio della ragione e dell'intelligenza: nella cultura insegnata a scuola: questo è il fine della scuola. Imparare per costruirsi una propria personalità, non monolitica, ma capace di stare nel mondo. Avere un maestro, riconoscersi piccoli e bisognosi dei consigli, della comprensione di qualcun altro.
Qualche maestro che sappia insegnarci a sperare, a credere, che ci scaldi il cuore e ci sappia indicare una via d'amore da percorrere; nell'attenzione all'altro, quindi. Non in una vita vissuta da solo, convinti di poter costruirsi senza il bisogno di altri, ma in una comunità di relazioni... E ci accorgiamo di quanto abbiamo bisogno di avere un cuore caldo quando qualcosa non ci importa, quando qualcosa ci sembra già fatto perché non abbiamo voglia di esercitarci sopra; quando non sappiamo andare oltre al nostro naso e ci accontentiamo di rifare le cose uguali da mille anni, come le rondini.

Inoltre, contro le mode, don Milani ci invita a non inseguire solo il successo nella nostra vita: ad avere un fine più alto. Senza negare l'importanza di impegnarsi con tutte le proprie buone qualità in quello che ci piace e per quello che vorremmo fare, l'importante è saper individuare i nostri limiti. Ed essere consapevoli che quello che darà completezza al nostro diventare adulti, uomini e donne importanti, non sarà solo l'essere i massimi esperti di qualcosa (men che mai l'essere diventato "qualcuno di famoso" con chissà quali escamotage: oggi ne abbiamo vari esempi), non l'aver trovato il lavoro più remunerativo: saremo uomini e donne importanti se saremo davvero sovrani: se non avremo gli occhi foderati di prosciutto e se saremo in grado di guardarci attorno e impiegare le nostre conoscenze per gli altri, con gli altri, per la società in cui viviamo.

Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Siamo persone, non individui; siamo persone in relazione con gli altri.
E don Milani ci ricorda che nelle relazioni possiamo usare l'intelligenza, non per cercare quelle relazioni sciocche e vuote per riempire del tempo che non vogliamo impegnare, ma per cercare delle relazioni di senso.

Liberi per cercare un senso: il fine della vita. Scegliere un senso...

martedì 11 gennaio 2011

Jack Frusciante è uscito dal gruppo (2)

Film sui disagi adolescenziali, forse? E' tratto da questo libro; e ne abbiamo già parlato qui.

E poi chi è uscito dal gruppo? Martino, Aidi, il protagonista??? E cosa significa uscito???

Morte durante le feste...

Articolo su Il Fatto Quotidiano (ma è anche interessante quello su La Repubblica; più che tanti banali commenti, ci può servire da riflessione:


Un’inchiesta della magistratura contro ignoti, dicono le carte della burocrazia. Ma è una città intera, moralmente, a finire sul registro degli indagati. Una Bologna, come dice il direttore della Caritas Paolo Mengoli, a cui “manca un vero padre di famiglia”. In queste ore si sprecano gli stereotipi sulla civile Bologna che, forse, tanto civile non è più. O almeno non lo è quanto lo è stata trentuno anni fa, quando la gente lasciò le vacanze per tornare a casa e aiutare a scavare tra le macerie della stazione. Qualcosa è successo e non funziona come dovrebbe, perché un bambino di 20 giorni non può morire di stenti in Piazza Maggiore, al gelo, nel frigorifero con le pareti di vetro della Sala Borsa, come se fosse un acquario. Eppure quando la mattina del 4 gennaio Devid Berghi, questo il nome che ha portato nella sua breve esistenza, è stato raccolto da un’ambulanza non c’era già più niente da fare. Lui è morto per una crisi respiratoria. Morto e sepolto in silenzio, forse per la vergogna. Si sono salvati il fratellino gemello e la sorella, di un anno e mezzo più grande.

Una tragedia con pochi precedenti, nel salotto buono di una città, in quella stessa piazza che ha visto 15mila persone festeggiare l’anno nuovo. Eppure in molti l’avevano incrociata quella famiglia, senza però soffermarsi a guardarla. Annamaria Cancellieri, nominata commissario prefettizio dopo le dimissioni da sindaco di Flavio Delbono, dice che era anche stato offerto aiuto alla madre, che però aveva rifiutato. Forse non un valido motivo per morire.

“Tristezza mista a rabbia”, dice Oliviero Diliberto, portavoce della Federazione della sinistra. “Ma che razza di Paese stiamo diventando se persino nella civilissima Bologna avvengono fatti simili? Cosa abbiamo fatto di male per arrivare a tanto? Pensavo di aver letto male, poi di aver travisato, infine, davanti all’evidenza della notizia, mi sono bloccato un attimo a riflettere e riflettendo mi sono chiesto se e quanta colpa ha anche la parte sinistra della politica, alla quale appartengo, quando avvengono fatti del genere. Mi sono risposto: tante”.

Forse la colpa non ha un colore marcato, è collettiva, prima di tutto. Poi di una macchina, quella del Comune di Bologna, con i servizi sociali sbandierati come fiore all’occhiello, che è inceppata da anni di malgoverno e dall’assenza di una guida politica. 5.300 dipendenti comunali, quasi un record, ma che non hanno mantenuto l’eredità di chi ha ceduto loro il posto: se l’Italia si scandalizza oggi è perché a Bologna qualcuno aveva costruito una rete di solidarietà e assistenza che oggi non esiste più. Pierferdinando Casini continua a ripetere che Bologna, è dai tempi di Giorgio Guazzaloca che non ha più un sindaco e un governo, “perché né i cinque anni di Sergio Cofferati né l’anno di Flavio Delbono possono essere considerati tali”. E c’è del vero, anche se i bolognesi col cuore a sinistra rammentano Renzo Imbeni come ultimo sindaco, poi il vuoto.

Annamaria Cancellieri, corteggiata dal Pdl per convincerla a candidarsi, dice che sono in corso accertamenti. In una breve apparizione davanti ai cronisti ha raccontato che “la madre era una povera donna che aveva sempre rifiutato aiuti e assistenza. In passato poi, ha spiegato il commissario, la donna aveva avuto altri due bambini che le erano stati tolti dai servizi e dati in affido”. E aggiunge: “In almeno due occasioni i nostri operatori avevano offerto aiuto alla madre di quei bambini, sicuramente il giorno di Capodanno, quando tutta la famiglia si era presentata alla Caritas per un pasto caldo, a San Luca. Ma la donna ha sempre rifiutato. Comunque dobbiamo fare ulteriori accertamenti sulle dinamiche”.

La famiglia era entrata in contatto anche con il servizio mobile dell’associazione Piazza Grande: “Da quest’estate venivano in stazione quando distribuivamo generi alimentari”, spiega il responsabile, Alessandro Tortorelli. Quello che non è chiaro, è se la famiglia avesse effettivamente una casa oppure no. Noi sapevamo che di giorno stavano in Sala Borsa ma non ci hanno mai detto di essere senza casa. L’attuale compagno della donna però ci aveva chiesto di avviare le pratiche per la residenza in via Mariano Tuccella (una via fittizia dove prendono la residenza i clochard bolognesi, ndr) e il 31 dicembre era tutto pronto per accoglierli nell’albergo di via del Pallone, ma hanno rifiutato”, spiega ancora il responsabile dell’associazione. Non sappiamo ancora da chi il 31 dicembre, cinque giorni prima che il bambino morisse, era stata fatta l’offerta. E se realmente era stata fatta. “Il problema è che lavoriamo per pezzetti e non c’è comunicazione tra i diversi servizi”, spiega Monica Brandoli del settore Sociale del Comune di Bologna. “Inoltre, di fronte a un’offerta d’aiuto che non viene accolta non sappiamo neppure come comportarci”.

Un ufficio che poteva fare qualcosa c’era, l’Ufficio Tutela minori: è partito con l’ex vice sindaco con delega ai servizi sociali, Adriana Scaramuzzino, magistrato minorile, e doveva fare da interfaccia tra Procura, Tribunale dei minori e Comune. L’ufficio non è mai stato reso operativo, né durante la fase Delbono, né col commissario Cancellieri.

Se la donne è stata seguita in passato, come ha ammesso il commissario, come è possibile che un persona già considerata in difficoltà, al punto da vedersi sottratti due minori, possa esporre i propri figli a pericolo di morte, a spasso con le temperature sottozero della città? Come mai non si è adottata una qualsiasi misura preventiva per tutelare i minori? Come mai non sono state predisposte delle misure anche forzate per tutelare chi non poteva difendersi? Sembra proprio che negli uffici pubblici qualcosa non abbia funzionato. Eppure quei bambini dormivano alla Sala Borsa, la biblioteca. Il commissario continua a dichiarare su ogni questione che “non vi sono i soldi”. Certo non ci sono i soldi e quelli che ci sono, a volte, sono spesi male.

martedì 4 gennaio 2011

L'Aquila 2011: le cose migliorano...

Un articolo uscito su un giornale aquilano sulla situazione dei campi Caritas...

L'AQUILA. «Le difficoltà ci sono nel Comune dell'Aquila: mancano indirizzi chiari, non si trovano interlocutori, si nota una litigiosità estrema dentro l'amministrazione e nei rapporti con altre istituzioni, diocesi compresa».

A parlare non è il commissario GianniChiodi, nemmeno il vicecommissario Antonio Cicchetti o il capo della struttura tecnica di missione architetto Gaetano Fontana, tantomeno un esponente del governo nazionale. Forse sarà un rappresentante degli agguerriti comitati cittadini? No neanche. A parlare così è monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, che ha rilasciato una intervista al settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Un attacco durissimo al Comune e ai suoi vertici politici. Un attacco che non arriva a sorpresa. L'arcivescovo Giuseppe Molinari e l'ausiliare Giovanni D'Ercole non hanno mai nascosto in questi mesi una certa insofferenza per le indecisioni del Comune rispetto all'approvazione dei progetti presentati dalla Caritas per realizzare strutture che vanno dalle chiese, alle scuole, ai centri sociali e di accoglienza.

Monsignor D'Ercole nelle ultime settimane ha cercato in tutti i modi di mediare e di ritrovare una unità di intenti con l'amministrazione comunale. L'intervista di Nozza non contribuisce certo a rasserenare i rapporti.

Il direttore della Caritas nell'intervista tutta dedicata alla ricostruzione dell'Aquila e degli altri paesi del cratere esordisce così: «All'Aquila avremmo potuto fare molto di più. Noi abbiamo le risorse, i soldi che ci hanno dato i cittadini italiani. Ma abbiamo realizzato poche cose. E non per colpa nostra. Abbiamo raccolto quasi 29 milioni di euro a cui vanno aggiunti 5 milioni di euro offerti dalla conferenza episcopale italiana. Abbiamo costruito scuole, centri comunitari, soprattutto nei Comuni più piccoli. I problemi maggiori li abbiamo avuti con il Comune dell'Aquila». L'intervistatore Alberto Bobbio chiede il perché. «Non sappiamo» dice il direttore della Caritas «ma la realtà è la seguente: abbiamo presentato 17 progetti all'inizio dell'anno (2010 ndr) al Comune per realizzare interventi su terreni di proprietà della diocesi e di parrocchie per dieci milioni di euro. Per mesi non abbiamo avuto risposte dagli uffici amministrativi del Comune. Poi, stufi di aspettare, abbiamo lanciato un ultimatum: risposte entro l'estate altrimenti avremmo destinato il denaro altrove. Ebbene su 17 progetti ne è stato ammesso uno solo per un milione e 200mila euro, un edificio di edilizia sociale. Il resto è tutto fermo ed è un paradosso perchè noi abbiamo i soldi, i progetti disegnati e le ditte pronte. Nel resto del cratere c'è
maggiore disponibilità, con le amministrazioni comunali più piccole abbiamo trovato migliori intese».

Nozza parla anche della ricostruzione più in generale e anche in questo caso le sue valutazioni non sono positive: «Purtroppo, mancano le idee. Si sono spesi troppi soldi per la cosiddetta messa in sicurezza e oggi il rischio reale è di consolidare nel tempo soltanto una precarietà generale. Le casette del governo hanno permesso solo a poche persone di trovare una soluzione. In realtà si sono spesi tantissimi soldi ma non si è progettata la ricostruzione. E poi ho l'impressione che la gente sia stata abbandonata a se stessa e si siano divise le comunità. Troppi ancora vivono negli alberghi, molta gente ha abbandonato L'Aquila forse per sempre. Mancano piani di rientro. Inoltre quasi due anni di abbandono delle zone colpite con le zone rosse in balìa di intemperie, hanno lasciato cicatrici indelebili».

Alla domanda su che cosa ha fatto la Caritas negli ultimi mesi il direttore dice: «Intanto non ha abbandonato la gente. Abbiamo aperto moltissimi centri di ascolto. I nostri volontari, quando la macchina dell'emergenza ha lasciato L'Aquila, sono rimasti. Il problema non è solo di ricostruire le case ma anche la vita. Abbiamo impostato una attività sul lungo periodo, progetti stabili in collaborazione con la Chiesa locale. L'idea è stata di dotare la diocesi di un polo della carità e per questo stiamo sollecitando la diocesi a fare una fondazione 3 gennaio 2011
diocesana per la gestione delle opere caritative».
Un'ultima domanda è sul ruolo della magistratura e se tale ruolo ha rallentato la ricostruzione. «Non è questo il punto» dice Nozza «noi abbiamo visto in questi mesi un mischiarsi di contraddizioni burocratiche e molti rischi di pratiche non corrette abbiamo sempre tenuto il punto sulle regole anche davanti a chi ci consigliava percorsi più rapidi ma non chiari. Abbiamo assegnato lavori a ditte che avessero tutte le garanzie comprese quelle antimafia. I funzionari della Caritas hanno seguito i lavori passo passo compresi i controlli nei cantieri. Ci siamo tenuti alla larga da sollecitazioni e spinte. Forse questo ha rallentato qualche progetto ma lo abbiamo fatto per rispetto della gente che ha donato alla Caritas così tanti soldi». Il sindaco Cialente ieri era in vacanza.

Oggi torna e troverà anche questa gatta da pelare. Famiglia Cristiana è uno dei settimanali più letti in Italia. Fondate o non fondate si tratta di critiche molto dure. L'Aquila non ci fa una gran bella figura.