domenica 25 maggio 2008

sabato 24 maggio 2008

Quelli benpensano, lui no

C'è un videoclip alla fine, di qualche anno fa, ascoltate con attenzione il testo, ma prima, leggete quest'articolo di Don Ciotti (da L'Unità, 16/5):

Ponticelli (Napoli) - “Cara signora, ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l’altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un’espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: “ferrovecchi”.

Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.
Nel nostro paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. E’ un’esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. E’ il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.

Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall’insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l’insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore. Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un’immagine.
E’ come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati “di troppo”, e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un’informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così.
Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.
Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell’idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l’hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di “giustificare” il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d’illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché “depenalizzate” nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta. Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l’attenzione delle forze dell’ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.
Vorrei però anche darLe un segno di speranza.
Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel “sociale”, nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un’altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.
La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un “reato d’immigrazione clandestina” nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure. Un’ultima cosa vorrei dirLe, cara signora.

Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po’ le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.
La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s’impegnano per un mondo più giusto e più umano.


mercoledì 21 maggio 2008

Sabato si festeggia



Sabato festa in parrocchia, con giochi, cena agli stand e spettacolo organizzato dai ragazzi delle medie: la realtà della parrocchia spiata da un Big Brother.

Alle 18.00 aprono gli stand coi giochi
Alle 19.00 apre la cucina
Alle 21.00 inizia lo spettacolo



Partecipiamo numerosi

L'Eros è il concetto, la Bellezza l'oggetto

Il culmine, l'indicibile idea del bello.
Da ultimo, ieri sera, poco prima della conclusione abbiamo letto un diverso modo concepire l'amore attraverso un mito narrato nel Simposio di Platone, un dialogo arcaico che ci mostra come sia possibile l'incontro di persone diverse, che svolgono attività diverse, ma che sono unite da una medesima qualità, che come vedremo alla fine è la ricerca (intelligente, non sciocca) della propria felicità. Un po' come se fosse una diversa parafrasi del gruppo e degli incontri che facciamo.
L'estratto che abbiamo letto narra un mito, che è una componente della nostra vita, che spesso ci è più utile della razionalità per capire gli avvenimenti che accadono. Lo riporto di seguito:

Chi è Eros, chi è suo padre e chi sua madre?
E' piuttosto lungo a raccontare. Quando nacque Afrodite, gli dèi tenevano un banchetto, e tra gli altri c'era anche il figlio di Metis, Poros (espediente). Dopo il banchetto, Penìa (povertà) era venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare (il vino, infatti, non esisteva ancora) e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e concepì Eros. Ecco perché Eros è compagno di Afrodite e suo servitore: generato durante la festa per la nascita della dea, Eros è per natura amante della bellezza - e Afrodite è bella.
In quanto è figlio di Poros e di Penia, ad Eros è toccata siffatta sorte. Anzitutto è sempre povero e ben lungi dall'essere morbido e bello, come crede il volgo; piuttosto è ruvido e irsuto e scalzo e senza asilo, si sdraia sempre per terra, senza coperte, dorme a cielo scoperto davanti alle porte e sulle strade, e possiede la natura della madre, sempre dimorando assieme all'indigenza. Secondo la natura del padre è coraggioso e precipitevole, veemente, è un mirabile cacciatore e ordisce astuzie, è desideroso di saggezza
.

La spiegazione del mito ci riporta a noi stessi, perché Eros è colui che cerca, e l'innamorato è sempre alla ricerca di qualcosa:

Nessuno degli dèi ama la sapienza, né desidera diventare sapiente, perché lo è già. Nemmeno gli ignoranti amano la sapienza ... l'ignoranza è insopportabile, nel credere, da parte di chi non è né bello né eccellente, e neppure saggio, di essere adeguatamente dotato. Chi non ritiene di essere privo (l'ignorante che non sa di essere tale, che si crede dotato), non desidera ciò di cui non crede di aver bisogno ...
Eros sarà amante della sapienza, a causa della sua nascita ... ciò che ama ha questa figura, vive di questa ricerca dell'altro
.

L'amore è la ricerca della felicità, è la ricerca della bellezza, la ricerca di qualcosa che possa riempire un vuoto che abbiamo dentro. Ma con una precisazione, perché siamo veramente innamorati solo se cerchiamo col giusto metodo le cose. Amore è collegato alla ricerca della verità e della felicità e il domandare la felicità significa volersi porre sul cammino di ricerca, accettare le sue regole e confrontarsi con essa. Eros ha in sé la capacità di trovare la strada per realizzarsi, bisogna però riconoscere di non avere nulla e voler cercare.
Al di là della spiegazione, che forse richiede più d'una lettura, ogni mito ha in sé la possibilità di essere letto da ognuno a seconda dei sentimenti che ognuno prova: offre ad ognuno di noi un qualcosa di differente.

Dopo abbiamo scelto alcune frasi che potevamo apprezzare da un foglietto e abbiamo cercato di commentarle insieme; un po' tutte sottolineavano come non sia l'apparenza delle cose ad avere valore (Se ci accontentiamo di apparire che vantaggio abbiamo? prima o poi la verità verrà a galla), non la semplicità di certi rapporti nei quali non mi metto in gioco, ma quanto ci impegniamo noi stessi, con la nostra propria vita, nelle cose che facciamo.
L'impegno e la ricerca ci conducono alla bellezza dell'amore (e forse questa è la degna conclusione), impegno e ricerca che significano che ogni momento è serio, ma non serioso, perché sennò sprechiamo le cose che facciamo.

lunedì 19 maggio 2008

Dalla veglia di giovedì: che sia il vero modo d'essere felici?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi: "Io vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo. non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo. che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno.
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena".


Come può bastare questo per capire come vivere, per capire qual è la felicità che dobbiamo cercare, che vogliamo: non è fatta di cose, ma di una sostanza più preziosa, che non si compra, ma che ci costruiamo noi col nostro comportamtento. La vita non si nutre solo di soldi, e non sono il male, essi ci sono, ma non sono la preoccupazione che ci conduce attraverso il buio, perché NON PORTANO LA FELICITA'. La vita vale di più.
Lo ripeto: La Vita vale di Più.
Certamente è importante il vestirsi ed il nutrirsi, ma questo non può riguardare la nostra occupazione della giornata, non possiamo pensare che sarà il come ci vestiamo a renderci felici, né per noi stessi, né in mezzo agli altri; non il quanto ci profumiamo, il come ci pettiniamo o quali atteggiamenti abbiamo.
Non il quanto siamo al centro dell'attenzione.
Sono inutili affanni, è un attaccamento alle cose che ci impoverisce, che inaridisce i rapporti con le altre persone, che ci fa perdere la nostra umanità.
Non di solo pane vivrà l'uomo, perché tutto non si ferma alla base delle nostre funzioni animalesche, ma va al di là di esse: saremo uomini se sapremo essere più che animali (e questo vale anche per le ragazze...).

L'uomo è un essere bisognoso, non abbiamo da noi tutte le nostre cose; dobbiamo chiedere, dobbiamo condividere quello che abbiamo. Non siamo meglio del nostro compagno, non siamo più di lui perché abbiamo qualcosa in più, perché avremo sempre fame. Perché non saremo mai sufficientemente felici.

Io sono felice...

mercoledì 14 maggio 2008

Due appuntamenti

1. giovedì sera, ore 21: veglia del gruppo giovani. La organizzano loro e ci è chiesto di essere almeno presenti. Come al solito pensiamoci per bene prima di decidere, perché è un appuntamento che è importante, formativo e utile, inoltre è un modo per incontrarsi la sera e fare due chiacchiere. I nostri amici più grandi si sono impegnati e hanno piacere che ci sia un po' di pubblico... E' uno di quei momenti DECISIVI...

2. sabato e domenica: vendita torte di autofinanziamento. Si devono preparare più torte (o farle preparare a mamma, papà, nonni, zie, sorelle) da portare sabato pomeriggio impacchettate in una busta di plastica se possibile. Non basta portarle, occorre venderle dopo la messa.

Mi raccomando, non facciamoci distrarre e non disperdiamoci troppo...

mercoledì 7 maggio 2008

Informazione di servizio

Senza perdersi il video dei DragonForce, vi ricordiamo che martedì prossimo, il 13 maggio, si va a cena al ristorante Lo Spaghetto, a Rastignano (cliccate sul linkino per tutte le informazioni).
Ci troviamo lì alle 20.30 (attenti, l'orario è cambiato), per cui ognuno si deve organizzare con i propri compagnucci e con i propri genitori per venire.
Pregasi confermare la presenza così prenotiamo (RSVP, come dicono in Francia)...

Ciao

Panna rules

Un'altra canzone, sempre dei DragonForce, sempre consigliata da Nico...



Chissà che qualcuno non abbia qualcosa di diverso da farci ascoltare, chissà che non ci sia qualcosa di migliore...

domenica 4 maggio 2008

Sicurezza e immigrati


L'emergenza sicurezza. A Verona un ragazzo di 29 anni è in fin di vita, picchiato perché non ha dato una sigaretta ad un gruppo di ragazzi. Nonostante quello a cui siamo abituati a pensare, questo caso non si ricollega ad immigrati violenti, come spesso capita sono gli italiani ad essere violenti: gli aggressori, dei neo-fascisti, parlavano il dialetto veneto...
Siamo talmente abituati a recepire solo gli atti di violenza compiuti dagli immigrati, violenza che potremmo riclassificare nella categoria di chi, disperato dalle condizioni in cui vive e lavora (le vere morti sul lavoro sono di coloro che lavorano in nero e di cui non si sa nulla, dei corpi nascosti perché illegali), perde la ragione, ma che è egualmente inaccettabile; che non ci rendiamo conto di quello che realmente avviene nelle nostre città ed all'interno delle nostre mura. La paura del diverso è l'incapacità di capire e ascoltare, l'incapacità di accogliere.
Non capire che non sono gli immigrati a rappresentare la maggior parte dei criminali (ma poi vanno in galera solo loro...), significa non capire il problema della violenza e degli stupri. Si dice che solo l'8% delle violenze sessuali venga denunciato alle autorità, il resto è sottaciuto per vergogna o per copertura del molestatore, che spesso fa parte del nucleo familiare della vittima. E' più facile denunciare il violentatore straniero, piuttosto che il proprio familiare; ma non imputerei una colpa alle donne violentate che non hanno il coraggio di denunciare quest'ultimo. La colpa è nostra, che continuiamo a dirci, continuiamo a pensare (e pensiamo che la nostra idea sia l'Assoluto) che siano solo gli immigrati a commettere violenza, così facendo releghiamo quel 90% che non subisce violenza da estranei a una minoranza che non ci interessa, impedendo loro di uscire da quella violenza che hanno subito: la colpa è nostra e della nostra ostinazione.

Alcuni link:
Corriere;
Istat;
Immigrazione oggi.


Di seguito riporto anche il finale di un film stupendo, probabilmente difficile e complesso, che dovremmo vedere insieme, in modo da spiegarcelo, parlarne un po' (e poi perché vedere un film assieme è meglio che stare da soli di fronte al televisore); è in tedesco sottotitolato in inglese, uno dei primi film col sonoro. Se volete date anche un occhio a questo video, altrimento ne riparleremo... Il protagonista è un mostro che uccideva i bambini, nella scena finale viene portato davanti ad un tribunale, composto dai criminali della città, e qui dice a tutti che non deve essere ucciso, ma che dovrebbero curarlo: il mostro, inumano per eccellenza, deve rientrare nella categoria dell'umano, è troppo facile disumanizzarlo e allontanarlo come fosse il diavolo, ma come lui ne nasceranno altri: allontanarlo non risolverà la situazione.

venerdì 2 maggio 2008