giovedì 31 dicembre 2009

Messaggio del Papa per la pace


SE VUOI COLTIVARE LA PACE, CUSTODISCI IL CREATO

1. In occasione dell’inizio del Nuovo Anno, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero. Per questa XLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio» [1] e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi «quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino» [2].

2. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità [3]. Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che «move il sole e l’altre stelle» [4].

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mercoledì 30 dicembre 2009

Il canto delle spose


Film dai diversi contenuti: c'è il tema dell'adolescenza e della crescita; il tema dell'amore e della femminilità: il corpo della donna viene esplorato e corteggiato fin in dettagli inaspettati; il ruolo della donna nella società del secolo scorso e il tema della discriminazione razziale e religiosa. Tutti calati nel racconto di un breve scorcio di vita di due amiche, l'una musulmana e l'altra ebrea, nella Tunisi del 1942 invasa dai tedeschi che si accingono alla conquista dell'Africa.
Le leggi razziali del nazismo sono speculari alla condizione di privilegio sociale di cui godevano ebrei e francesi a scapito della popolazione musulmana; tutte queste altro non rappresentano se non lo sfruttamento dei potenti verso i più poveri che si perpetua nella Storia.
E' nell'amicizia tra Nour e Myriam che il film mostra un diverso tipo di rapporto con l'altro, fondato su una sentimentalità e un affetto sinceri e sull'aiuto vicendevole; come se, in un mondo spaccato e diviso e in cui l'uomo tende a sfruttare l'altro uomo, attraverso l'amicizia tra due ragazze che entrano nell'età matura (sono in procinto di sposarsi), attraverso gli occhi, i sentimenti e la loro ansietà di "sfruttate" per eccellenza, ci venga mostrata la possibilità di costruire un mondo diverso, in cui poter convivere. L'ostacolo della crescita è rappresentato dalla presenza nazista: è l'ostacolo del razzismo che perpetua lo sfruttamento secondo la logica della vendetta. Anche Nour ci casca, traviata dal futuro sposo che ha trovato un lavoro presso i tedeschi, lavoro a cui, si presume, non poteva ambire altrimenti a causa della sua condizione di musulmano, e che quindi nutre riconoscenza nei confronti di questi ultimi (che promettono l'indipendenza al Paese, una volta vinta la guerra), e condottavi dalla sua ignoranza (non poteva andare a scuola per motivi razziali): legge l'arabo a fatica e, nell'esercitarsi nella lettura del Corano, si sofferma su una parte che dà adito a ritenere che solo il musulmano sarà salvato a scapito degli infedeli.
Il conflitto tra le due ragazze esplode: quando Nour rinfaccia a Myriam la sua condizione, il dialogo incontra uno scoglio imponente. Si coglie l'illogicità del razzismo che solletica Nour, che non può che contraddirsi quando, sentendosi sfruttata da ebrei e francesi, non può che fare un'alternativa su Myriam: lei non è come gli altri, perché è una sua amica. Ed è un conflitto durissimo, mostrato in quei lunghi momenti di silenzio, nelle solitudini delle due ragazze e nel pianto di Myriam, culminante nel getto nel pozzo del bracciale d'oro che Nour aveva ricevuto dall'amica.
Sarà ancora la lettura del Corano a far comprendere a Nour che tutti gli uomini sono uguali, qualunque fede professino; meravigliosa è la scena: tra l'amore del padre, che le consiglia quale punto leggere, e lo spavento incredulo della figlia, che non si sente trattata come un oggetto, ma come una persona.
L'amicizia tra le due amiche, così travagliata dalla Storia e dalle vicende quotidiane, si ristabilisce nella scena conclusiva del film (e di un finale così aperto da lasciare spazio alla nostra immaginazione), quando in una casa diroccata dai bombardamenti, le due ragazze si incontrano e, stringendosi in un abbraccio, pregano la loro diversità e superano i pregiudizi razzisti.

Proprio per il tema razziale il film è straordinariamente attuale; arricchito dal concentrarsi sulle figure più ai margini della storia, la trama esprime tutta la sua potenza nel mostrarci la follia contenuta nella violenza e nell'odio per l'altro solo perché diverso e detentore di un privilegio; prima che le armi e la rivoluzione, può il cuore di due amiche, legate da un affetto indissolubile per quanto precario. Tuttavia il film non è così ingenuo da ritenere che il mondo si riduca alla contrapposizione odio/amore e che alcuni siano detentori dell'uno piuttosto che dell'altro. Il nodo di sfruttamento, di privilegio, di odio che predomina nella società, è unito agli affetti personali che ci legano a singoli; la vera forza dell'amore è riconoscersi umani e pieni di difetti, riconoscere i nostri stessi errori, gli errori delle proprie concezioni e la vacuità delle ideologie o delle volontà di potenza.
La possibilità di essere più uomini, contenuta negli sguardi e nell'abbraccio finale, ci offre l'occasione di liberarci dalle catene che ci imprigionano, di liberarci dal giogo del razzismo. Ma, come nel film, è una storia senza finale...

venerdì 25 dicembre 2009

Ignari vs Ignavi

Propriamente ignaro significa colui che non sa e non conosce, inesperto, inconsapevole. Mentre l'ignavia è la mancanza di forza morale e di volontà, l'incapacità di prendere una decisione.
Benché diversi, rappresentano due categorie antitetiche della responsabilità. I primi, perché vivono la loro vita nel solco di una sorta di quotidianità borghese che li forza alla sopravvivenza, senza rendersi conto delle cose, distratti e noncuranti, disinteressati di tutto ciò che non è effimero. Gli altri non sono mai stati in grado di prendere una decisione e mantenersi saldi in essa, ma hanno vagato seguendo diverse "bandiere"/mode a seconda delle condizioni. Mi pare, però, che questa seconda categoria sia un classico della letteratura, meno attuale della prima, legata com'è all'inferno dantesco, alla fissità dell'uomo medievale (soprattutto perché defunto) e ad un collegamento con la politica più che con un'etica individuale. Partire da quella concezione e dirsi ignavi oggi (o definire l'ignavia oggi) è complesso, perché l'individualismo moderno ci porta a ritenere e a difendere ogni nostra decisione, ogni nostra presa di posizione anche nei casi in cui non si tratti di una reale decisione, cioè maturata attraverso un percorso personale di impegno. L'attualità dell'ignavia dantesca risiede nell'assenza di impegno non intesa nei soli termini pratici, ma in quelli di una moralità connessa all'uso proprio dell'intelletto: impegnarsi per gli altri non coincide solo con un atto pratico e non coinvolge solo un sentimento di attaccamento affettuoso nei confronti degli altri, ma riguarda un lavoro di consapevole maturazione personale, che conduce a comprendere quello che succede nel mondo.

L'attualità dell'ignavia è contenuta nel concetto di ignaro, la cui mancanza (come scrive Heinrich Böll) di consapevolezza è legata non all'indecisione, ma ad una incapacità di intelligenza e di interesse nel vedere e capire che li conduce a non far proprio il nocciolo delle questioni di cui si interessano, restando sempre in superficie e, come gli ignavi, cambiando bandiera, "al passo coi tempi", a seconda delle convenienze, ma senza vivere realmente e senza trattenere nel cuore - rielaborato dall'intelletto - nulla. L'ignavia, categoria solo morale, è astratta nel nostro moderno se l'indecisione di essa non si collega all'impiego ordinante e costituente dell'intelletto che comprende, conosce e rende consapevoli del mondo.

Gli ignari sono gli individui incerti, che non hanno saputo rischiare, scrive l'autore riferendosi a quanti, nel medesimo istante dell'uccisione del Cristo, stavano seduti a fare colazione. Con la placida vuotezza di chi non si interessa di nulla; "ahimé, è l'antica stirpe che non può essere sradicata, la stirpe dei morti viventi. A volte i loro figli mostrano negli anni giovanili una certa brillantezza, che sembra molto promettente, a l'opacità putrida del sangue e la materia marcescente dei cervelli oscura ben presto quell'ingannevole luminosità. Non conoscono il distacco divino dalle cose terrene, che invece dovrebbe essere patrimonio di ogni cristiano. [...] E' gentaglia insulsa , estranea a tutto ciò che è essenziale e assoluto, insensibile al fascino dell'arte e non gravata dalla responsabilità di Dio, r noi potremmo anche lasciare cadere il nostro silenzio su questa parte del genere umano, se non si trattasse pur sempre di nostre sorelle e di nostri fratelli che ci sono stati affidati come tutti gli altri".

"Ogni volta che tornavamo da questi abissi di orrore, guardavamo in faccia quei beati idioti, che negano la miseria e la povertà, i cui occhi sono impastati di una poltiglia nauseante che nasconde loro ogni realtà e verità... [...] Dobbiamo imparare a riconoscere questi assassini dello spirito che si definiscono élite intellettuale. Non sanno cosa sia la fede, non sanno cosa sia l'impegno, e se si definiscono cristiani, non credetegli, sono pronti a vendere Dio alla prima occasione per la loro esistenza: ma no, non lo vendono neppure, sarebbe una tto troppo impegnativo; eludono tutto; la cosa più terribile è che eludono anche la Croce... vanno in Chiesa come se andassero al circolo...".


E cosa significa protervia?

mercoledì 9 dicembre 2009

Scuola???

I ragazzi convinti che il sapere sia irrilevante:
Serve a qualcosa il latino, una lingua cadavere? A che serve la matematica, quando abbiamo le calcolatrici che ci forniscono il risultato di qualsiasi operazione lì, sul momento? A che servono la grammatica, la sintassi e l' ortografia se come si parla e come si scrive è lo stesso? A che serve conoscere la storia se basta cercare su Internet per appurare istantaneamente chi fu il tale personaggio e che cosa successe il tale anno? A che serve la geografia, se prendiamo aerei che ci portano in qualunque posto nel giro di poche ore e non ci importa nulla del tragitto? C' è qualcosa che serve a qualcosa? E che cosa sono, poi, le cose «pratiche»? Forse solo imparare a maneggiare il computer e la calcolatrice. In fin dei conti, perché è necessario andare a scuola? Per avere un' idea del mondo, del passato dell' umanità, della storia dell' arte e delle religioni, dell' evoluzione delle scienze, della nostra anatomia, dei testi che sono stati scritti, della moltiplicazione, della divisione, della sommae della sottrazione, del cerchio e del triangolo? Niente di tutto questo è «pratico» né aiuta a guadagnarsi da vivere, tanto menoa diventare Reina Hispanomericana. Eppure... L' istruzione non è solo conoscenza e dati. È un elemento essenziale di quella che un tempo si chiamava «formazione», cioè la trasformazione degli individui in persone, non esseri animaleschi che cadono nel mondo senza avere nozione alcuna di quello che c' è stato prima di loro, incapaci di associare due fatti, di distinguere fra causa ed effetto, di articolare due frasi intelligibili, di pensare e ragionare, di comprendere un testo semplice. Questo è il genere di esseri che abbonda ogni giorno di più nella nostra società intellettualmente rudimentale.