martedì 26 maggio 2009

Il simbolo cristiano

Vi sono varie forme di credo cristiano, le più rilevanti sono il Simbolo apostolico e il Simbolo Niceno-Costantinopolitano. Il credo è la preghiera in cui si professano i punti cardine della fede e della verità cristiana, tramite la recitazione si elencano i fondamenti del proprio credere. I diversi simboli vennero costituiti in risposta alle prime formule eretiche sviluppatesi nell'Antichità.
Il Simbolo è il nostro modo di esprimere il consentimento a Dio, restaurando con Lui l'alleanza che ci lega. La parola greca indicava la metà di un oggetto spezzato, presentato come un segno di riconoscimento. Le parti rotte venivano ricomposte per verificare l'identità di chi le portava. Il "Simbolo della fede" è quindi un segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti. Oggi, pur mantenendo questo significato, si è aggiunto il significato di sommario o raccolta delle verità.


Credo Apostolico

Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. 
E in Gesù Cristo, Suo Figlio unigenito, Signore nostro; 
il quale fu concepito di Spirito Santo, nato dalla vergine Maria; 
soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; 
discese agli inferi; 
il terzo giorno risuscitò dai morti; 
ascese al cielo; siede alla destra di Dio Padre onnipotente; 
da dove verrà per giudicare i vivi ed i morti. 
Io credo nello Spirito Santo; 
la santa Chiesa cattolica; 
la comunione dei santi; 
la remissione dei peccati; 
la risurrezione della carne; 
la vita eterna. 
Amen

>Simbolo niceno-costantinopolitano

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. 
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. 
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. 
E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. 
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. 
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. 
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. 
Amen.



Il Simbolo Apostolico ha, probabilmente, origine dagli Apostoli: si tratta di una forma non scritta ma solo conosciuta a memoria con cui si dava adempimento alle funzioni liturgiche.
Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano è, invece, una formula sviluppatasi dapprima nel Concilio di Nicea (325), a cui vennero aggiunti ampliamenti, soprattutto relativi alla parte sullo Spirito Santo, nel Concilio di Costantinopoli (381). Siamo tenuti a ritenere che «i simboli della fede non furono composti secondo opinioni umane, ma consistono nella raccolta dei punti salienti, scelti da tutta la Scrittura, così da dare una dottrina completa della fede. E come il seme della senape racchiude in un granellino molti rami, così questo compendio della fede racchiude tutta la conoscenza della vera pietà contenuta nell'Antico e nel Nuovo Testamento» (S. Cirillo di Gerusalemme).
Chi volesse potrà notare come molte delle formule presenti nel secondo Simbolo sono risposte alle dispute teoriche che si svilupparono nei primi secoli di esistenza della Chiesa, ad esempio contro l'arianesimo, dottrina cristologica che contraddiceva la Trinità, e lo gnosticismo (anche i Concili seguenti decretarono contro formule divenute eretiche).

A noi può interessare maggiormente il significato del simbolo cattolico; si potrà notare come le verità di fede siano articolare in forma tripartitica: la prima è consacrata allo studio di Dio Padre e dell’opera mirabile della Creazione; la seconda allo studio di Gesù Cristo e del Mistero della Redenzione; la terza allo studio dello Spirito Santo, principio e sorgente della nostra santificazione. Sono questi i tre capitoli del nostro sigillo battesimale.
Il Credo segue un ordine preciso: si inizia con Dio Padre in quanto è il primo e l'ultimo, prima persona della Trinità e creatore di tutte le cose. La Trinità, cioè la presenza di tre “figure”, non nega l'unicità di Dio, anzi la rafforza in un modo che è oscuro alla nostra ragione.
Credere in Dio comporta in noi enormi conseguenze verso cui, nella Professione di Fede, siamo chiamati a ricercare e mettere in pratica quell'insegnamento di amore, cercando di comprenderlo nella sua totalità. Il primo punto è la fiducia in Dio.
Il Padre si rivela attraverso il Figlio: il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Notiamo come vengono riassunti i singoli atti rilevanti di Gesù. È interessante notare il ruolo dello Spirito Santo, la cui opera ha condotto all'incarnazione del Signore: lo Spirito Santo «è Signore e dà la vita», come ha dato la vita nella carne, così dà la vita a noi. Lo Spirito è eterno ed è la terza persona affidata come dono all'uomo.

«Credere è dire amen alle parole (sono figlio di Dio), alle promesse (la vita che è sempre), ai comandamenti (all'amore) di Dio; amen che è impegno totale, conoscenza teorica e pratica della volontà divina e della sua assoluta validità.» (H. Urs von Balthasar)

«Credere significa dire amen a Dio, trovare in lui il proprio fondamento e stabilità; credere significa lasciare che Dio sia Dio, riconoscerlo cioè come l'unico fondamento e senso della vita. La fede è l'essere nella recezione e nell'obbedienza. Il poter e dover credere è grazia e salvezza, poiché bella fede l'uomo trova sostegno e fondamento, senso e fine, contenuto e adempimento, nella redenzione dalla sua instabilità, dalla mancanza di obbiettivi, dalla vuotezza del proprio esistere.» (W. Kasper)

«Il messaggio certo lo odo, solo mi manca la fede!” Ma a chi non manca la fede? Chi allora può credere? Sicuramente non colui che affermasse di 'avere' la fede, dunque di non esserne privo, di essere 'capace' di credere - “con la propria ragione e con le proprie forze”. Allora, chiamato ed illuminato dallo Spirito Santo e dunque senza saperselo spiegare, in preda al più grande stupore nei confronti di sé medesimo, egli crederà solo in presenza dell'incredulità che sempre accompagna anche lui e in lui riacquista forze. Potrà dire “Io credo” solo nella e con la preghiera: “Signore vieni in soccorso della mia incredulità!” Pertanto non riterrà di avere la fede, ma solo spererà di riceverla di nuovo ogni mattina – come gli israeliti la manna nel deserto . E, nella misura in cui di nuovo la riceve, di metterla seriamente in opera di nuovo ogni mattina. Allora la domanda se la fede, se l'evento della fede appartenga all'ambito delle possibilità di qualcuno, è una domanda poco sensata. Non è in potere di alcuno che la fede si faccia evento. La domanda seria è un'altra: se uno, rinviato all'opera che Dio compie e alla parola che Dio pronuncia anche nel suo ambito e alla forza dello Spirito Santo che è viva anche nel suo ambito, possa ancora permettersi di insistere col suo noioso “Mi manca la fede!» (K. Barth, commentando Mc 9,24)

mercoledì 20 maggio 2009

Disequazioni di secondo grado

Da quel poco che mi ricordo, vi scrivo qualcosa, ma ci sono anche dei siti in cui ne parlano: sito1 (consigliato da mio fratello, quindi non chiarissimo); sito2.

Dalle equazioni di secondo grado, se si disegna y = ax2 + bx + c si ottiene una parabola, ottenendo i valori di x per y=1. Le equazioni = 0 risolvono per quali punti sull'asse delle ascisse si interseca la parabola, cioè tenendo conto che il valore di y sia 0. Ottenuti i due punti è poi possibile disegnare l'intera parabola; la risolvente è: (- b ± √b2 – 4ac) / 2a.

La disequazione di secondo grado ricerca per quali punti di x la parabola sia maggiore o minore di 0. Il risultato si indica con l'intervallo richiesto: se la parabola concava verso l'alto passa per due punti dell'ascissa sarà maggiore di 0 nelle parti esterne alla parabola (il risultato si indica con risultato maggiore < x < risultato minore). A seconda della concavità della parabola o della richiesta dell'equazione, l'intervallo da prendere sarà diverso.
La parabola può intersecare l'asse X in due punti (quindi vi sono due risultati), in un punto solo oppure in nessuno (la disequazione non dà risultati).

Il valore di a indica la direzione della parabola, se è positivo l'equazione è maggiore di 0: la concavità è verso l'alto; se è negativo la parabola è rivolta verso il basso.

Due esempi:
il primo: -3 x2 + 3 x + 10 > 0
la figura:

Cioè: -(7/5) < x < 12/5;


il secondo: x2 + x - 2 > 0
la figura:

Cioè: 1 < x < -2

Affiché si ottengano le parti della parabola con valore y maggiore di 0 occorre prendere i risultati della risolvente e coordinarli tra loro.
Per fare un altro esempio (che consiglio di considerare come esercizio): y=x2 + 4x - 5; y>0.
Il risultato sarà 1 < x < -5 (si può anche scrivere: x<-5 unione x>1).

Provate con la disequazione: -3x2 + 6x - 5 > 0 e fate tanti esercizi.

mercoledì 13 maggio 2009

Andrebbe urlato dai tetti: la criminalità in Italia è, in primis, italiana; non nascondiamoci dietro gli altri...

IL CORAGGIO DIMENTICATO (R. Saviano, su Repubblica di oggi)

Chi racconta che l'arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali, chi racconta che incrementa la violenza e degrado, sta dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica. Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani. In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull'onda dello sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da assciazioni, sindacati, senza pullman e partiti. manifestazioni spontanee. E sono stati africani a farle.

A Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage ad opera della camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani. Le vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent'anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro. La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del omndo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia. Nei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani. Ma nulla.

Nessuna protesta. Nessuna rimostranza. Nessun italiano scende in strada. I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si sentono sempre più soli e senza forze. Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e centianaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione. Succedono incidenti. Il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati. L'obiettivo era attirare e dire: "Non osate mai più!" Contro poche persone si può ogni tipo di iolenza, ma contro un'intera popolazione schierata, no.

E poi a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria: un dei tanti paesini del Sud a economia prevalemtemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le 'ndrine, fattura cifre paragonabili al PIL del Paese. La cosca Pesce-Bellocco di Roeasno aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell'edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamenteo Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo. L'egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due è in gravissime condizioni. La sera stessa, centinaia di stranieri - anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi - si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 dicembre il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani. La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della 'ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti. Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe Valarioti (guarda in fondo alla pagina linkata per qualche informazione a proposito; o anche: sempre su Valarioti), che in piazza disse, che in piazza disse: "Non ci piegheremo", riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali. E quando accadde fu ucciso. Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno.

Sulla rivolta di Rosarno, in questi giorni, è uscito un libretto assai necessario da leggere con un titolo in cui credo molto. "Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l'Italia" di Antonello Mangano, edito da Terrelibere. La popolazione africana ha immesso nel tessuto quotidiano del sud Italia degli anticorpi fondamentali per fronteggiare la mafia, anticorpi che agli italiani sembrano mancare. Anticorpi che nascono dall'elementare desiderio di vivere.

L'omertà non gli appartiene e neanche la percezione che tutto è sempre stato così e sempre lo sarà. La necessità di aprirsi nuovi spazi di vita non li costringe solo alla sopravvivenza ma anche alla difesa del diritto. E questo è l'inizio per ogni vera battaglia contro le cosche. Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l'Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della terra, le cui organizzazioni criminali hanno insegnato al mondo come strutturare organizzazioni militari e politiche mafiose. Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all'estero.

Oggi, come le indagini dell'FBI e della DEA dimostrano, chiunque voglia fare attività economico-criminali a New York che siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto. Altro esempio eclatante è Vito Roberto Palazzolo che ha colonizzato persino il Sudafrica rendendolo per anni un posto sicuro per latitanti, come le famiglie italiane sono riuscite a trasformare paesi dell'est in loro colonie d'investimento e come dimostra l'ultimo dossier di Legambiente le mafie italiane usano le sponde africane per intombare rifiuti tossici (in una sola operazione in Costa D'Avorio, dall'Europa, furono scaricati 851 tonnellate di rifiuti tossici).

E questo paese dice che gli immigrati portano criminalità? Le mafie straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall'Ucraina dalla Bielorussia. Gestiscono flussi di danaro che spesso reinvestono negli sportelli Money Transfer. Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per aereo. Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca. Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.

Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie. Loro vivono di questa generalizzazione. Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro. La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari dell'eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana. Nessuna di queste organizzazioni vive senza il consenso e l'alleanza delle mafie italiane.

Nessuna di queste organizzazioni vivrebbe una sola ora senza l'alleanza con i gruppi italiani. Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e l'assistenza legale. E non si tratta di interpretare il ruolo delle "anime belle", come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti. Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi - insegna Altiero Spinelli padre del pensiero europeo - è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella parte d'Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare. L'Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in se la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.

martedì 5 maggio 2009

Elephant


Si tratta di un film molto intelligente quello di Gus Van Sant, uscito nel 2003 e vincitore di vari premi; tanto intelligente quanto illogico. Più che la strage a Columbine, il regista sfrutta la storia per mostrare una società svuotata: Elephant è questo, tanto intelligente quanto vuoto. Intelligente perché tutto torna, tutto si lega anche se è costruito in un modo fin troppo arzigogolato: il ricamo, voltato l'ordito, mostra la propria vuota immagine. Vuoto perché, pur sforzandosi di ricercare qualcosa di interessante - uno sforzo che si nota nell'incessante inseguimento dei ragazzi - non vi trova nulla; tanto che, le tre ragazze che hanno appena vomitato, sentendo gli spari, sono contente perché ci sarà qualcosa che movimenterà la loro giornata altrimenti piatta e simile alle altre.
Sono giornate uguali, sono vite uguali: vuote, ripetitive; come il menu della mensa: da tenere dentro di sé solo per qualche minuto e poi da vomitare fuori.

Non mancano solo i contenuti o l'impegno delle giornate, è assente ogni tipo di relazione: i dialoghi sono minimi e privi di rilevanza; prendete la lezione stupida sull'omosessualità, la ramanzina del preside che non si vede, il dialogo dei due fidanzatini, i discorsi tra le tre ragazze. Anche l'incontro tra John e il padre, alla fine del film, forse unico sussulto emotivo è tenacemente raffreddato.

Risaltano soprattutto i disagi adolescenziali. Enumerarli sarebbe una prova d'attenzione notevole, perché tutti i protagonisti, anche gli adulti, soffrono di profonde crisi. Il regista, però, è troppo intelligente per cercare un insegnamento morale, o per solleticarci un sentimento di rimprovero (come se nulla potesse essere rimesso a posto): tutto resta così com'è.
Forse ci illumina solo attraverso gli sguardi sugli altri, i personaggi ci annoiano così tanto perché ci somigliano tantissimo e, allora, più che sfotterli per le nostre stesse imperfezioni, varrebbe la pena di voler conoscere e stabilire delle relazioni vere: ancora torna la relazione...

Ah, meravigliosa la colonna sonora: la scena in cui suona il pianoforte con la telecamera che si guarda intorno è stupenda...