giovedì 20 marzo 2008

La felicità di ognuno...

Nei percorsi di vita quotidiani, quelli con cui siamo soliti dirci felici in quanto esprimono il raggiungimento dei nostri obiettivi, possiamo osservare come certi atteggiamenti di lampante e ansiogena ricerca della felicità non siano altro che l'espressione di miti moderni. L'ossessione della forma fisica, che spinge a osservare diete mortificanti e inutili, per restare all'interno di una norma che non può essere un canone per tutti, o a ripetuti interventi di chirurgia estetica, a pratiche salutistiche e a noiosi massaggi, non fa altro che dimostrare come la felicità continua ad essere cercata secondo modelli socialmente condivisi di bellezza o di accettabilità.

La felicità diviene un atteggiamento di moda, quello che è per la maggioranza, lo è anche per me, a seconda dei caratteri culturali vigenti. Come non si può ridurre tutto ad un susseguirsi di comandamenti o comportamenti "felici", alcuni tra questi sembrano più forti delle mode e in controtendenza al pensare comune: vi sono consuetudini che tendono a distanziarsi dall'inseguimento di una realizzazione puramente esteriore di sé e che, sviluppatesi in ambito antico o orientale, sono riaffiorate nel pensiero moderno. L'interpretazione di queste non è così interessante se vogliamo pensare a noi stessi, può essere utile per smascherare, per demistificare i miti contemporanei. Primo di essi è la forma fisica, che consiste nella rimozione dei ricordi del passato, nell'evasione da situazioni inquietanti e angosciose (evasione, non soluzione di esse), nell'evitare la noia e nel tentativo di accrescere in modo artificiale le proprie prestazioni sessuali o intellettuali; questo mito, secondo cui la felicità appartiene a colui che rientra nel canone della bellezza (ragazzo muscoloso o velina), mette in ultimo piano la presenza della morte nella vita, del dolore, dell'invecchiamento: nella società italiana in cui i giovani non trovano spazio anche gli anziani non trovano un ruolo appropriato.

Altro mito contemporaneo è il denaro, per il vecchio senso comune non compra la felicità, ma oggidì si è propensi a credere che lo faccia. Basta volere fortissimamente la ricchezza per poterla ottenere, e il semplice spendere soldi in beni superflui è fonte di felicità. questo è strettamente connesso all'acquisto di orpelli inutili o di un vestiario che possa essere notato senza che sia né originale, né piacevole da guardare.
Caduta la ritualità dei momenti felici (cosa in sé positiva), si assiste ad una nuova ritualità, peggiore di quella precedente, per cui tutto deve essere sempre presente a me, solo così posso essere felice. Solo se ho tanti soldi, se posso permettermi quello che vedo nelle pubblicità o che leggo raccontato sui giornali scandalistici, allora posso dirmi felice. Che uno lo sia veramente, è un altro discorso. Sono felice se riesco a fondermi con la massa che insegue la felicità del tal personaggio televisivo conosciuto.

La ricerca della felicità diventa un qualcosa di totalizzante nella mia vita, a mano a mano che la felicità in quanto tale scompare dalle nostre società. Non siamo più abituati a vivere una vita normale, ma viviamo di alti e bassi, nei quali alterniamo momenti di quotidianità (che spesso ci infastidiscono e annoiano, la scuola, il lavoro, lo studio, il gruppo) a momenti di divertimento di massa, a cui siamo indotti dalle medesime riviste o dai programmi televisivi che ci assoggettano (ad esempio la vittoria dei mondiali di calcio). Ci crediamo eredi del disincanto moderno e del razionalismo illuminista, ma produciamo e consumiamo miti a profusione. Non riusciamo a dare un senso alle nostre azioni, se non proiettandolo in un futuro in cui siamo noi a rappresentare la crème della società proprio come ora altre persone, che riteniamo più fortunate di noi (e felici), fanno e di cui siamo soliti osservare e dissezionare la vita.

La nostra felicità non è veramente la nostra, è data solamente da comportamenti de rigueur, per cui chi non li pratica si vergogna e si sente messo da parte: non siamo felici se non ci sentiamo accomunati a tanti altri, eppure non siamo neanche in compagnia: la nostra ricerca della felicità è una ricerca solitaria.

F. Guicciardini: Nelle cose che dopo lungo desiderio si ottengono, non trovano quasi mai gli uoini né la giocondità, né la felicità che prima si erano immaginati.

Da Into The Wild:


mercoledì 12 marzo 2008

Resoconto di un incontro complesso

Ieri sera avevamo un progetto ambizioso, quello di mostrare qualche Gesù differente da quello canonico, abbiamo scelto qualche scena dal Vangelo secondo Matteo di Pasolini (altri link: un ateo al cospetto del sacro; e altri link). Un film che mostra un Gesù umano, i cui insegnamenti si inseriscono in una visione che vuole superare le leggi dell'uomo per giungere ad una vita vera, più piena. E' un film difficile, con imponenti primi piani e altrettanto grandiosi campi lunghi, che mostra volti segnati dal tempo, dal lavoro e dalla fatica (in Giuda c'è anche una fatica interiore, dovuta alla difficoltà di capire il messaggio di Gesù, ma la medesima fatica si rivede anche su altri visi), che mostra il volto di Gesù mentre predica con forza e veemenza, alternando ciò con bellissimi paesaggi, i sassi di Matera, le queste colline brulle e il bianco e nero che ci permette di far correre la nostra immaginazione e vedere oltre la pellicola per scegliere noi stessi come vogliamo colorare quel paesaggio, è come se, attraverso le nostre sensazioni, ci fosse permesso di ricolorare il mondo come più ci pare possibile, è questa è arte!
Dopo abbiamo letto qualcosa di Gesù nel Vangelo di Tommaso (in fondo alla pagina dell'ultimo link ve ne sono altri che rimandano anche ad una lettura dell'opera di Dan Brown, guardateci se vi può interessare), quello che ha ispirato il Codice da Vinci; certi apocrifi presentano un Gesù mistico, un mago, tralasciando la parte importante, che non sono i riti o i semplici miracoli quelli che ci fanno credere in lui, ma è il messaggio di pace, di vita eterna, di libertà, di possibilità di realizzare noi stessi e la nostra felicità e fare in modo che questa felicità sia quella di tutti; è questo che differenzia il Gesù cristiano dagli altri. L'annuncio pasquale è un annuncio di liberazione dal male.
Per gli gnostici (che non sono l'Opus Dei...) la perfezione si raggiunge attraverso la consapevolezza della distinzione dell'anima e del corpo e nel superamento dei contrari ("ogni donna che diventerà maschio entrerà nel regno dei Cieli" VdT). Ovviamente è un'alterazione del Cristianesimo nel tentativo di creare un Gesù a propria immagine, sfruttare una persona conosciuta per propugnare le proprie idee, con le quali si sostiene una salvezza che è astorica, atemporale, amateriale, in cui la vita del corpo non è che un peso. Non vi sono prospettive escatologiche vere e proprie, e la salvezza è qualcosa di nascosto che l'uomo raggiunge attraverso una gnosi, una conoscenza. Da qui nasce il termine a-gnostico, cioè della volontà di non rifarsi a quella dottrina, perché, cristianamente, non si può raggiungere una conoscenza di Dio attraverso la sola ragione, ma solo per grazia. V'è da aggiungere che lo gnosticismo copia gran parte dei vangeli canonici, ma non è una degenerazione del Cristianesimo, in quanto ha derivazioni da innumerevoli altre visioni: come tante religioni non è che una collezione di concezioni.
La predicazione di Gesù, sebbene si installi su riti o esempi non nuovi, ha degli elementi di forte novità, quelli per cui, ancora oggi, tendiamo a vedervi un messaggio diverso dagli altri, un messaggio di vera e propria libertà.

Non ancora sazi, abbiamo ascoltato una canzone di De André, tratta dal disco La Buona Novella, che ripartendo da varie letture dei vangeli canonici e apocrifi, mette in musica una sorta di vita del Nazareno, che il musicista concepisce come la persona più rivoluzionaria della storia.
La canzone che abbiamo ascoltato mette sulle labbra di uno dei due ladroni crocefissi con Gesù il racconto dei dieci comandamenti e di quello che ne ha fatto: non li ha seguiti. Ma quelli non servono, il cristianesimo non è una fede dei limiti, degli impedimenti, delle regole. Ma è una fede dell'amore: sulla croce, vedendo la pietà che non cede al rancore, Tito ha imparato l'amore.
Nella Pasqua, passione (in cui Gesù sperimenta i punti più bassi dell'umanità, nelle cose in cui ogni uomo cade, lì può incontrare Gesù), morte e resurrezione, nella pietà di Gesù, impariamo ad amare, a vivere bene, ad essere felici.





Un progetto molto, molto ambizioso.
Elisa, ti va bene la canzone con la PFM???

giovedì 6 marzo 2008

Buon compleanno Geppo!!!



Wish you were here (due giorni + martedì)

E' stato il leit-motiv della due giorni, di una due giorni di incontri sulla fatica e sulla trasgressione, e si notava come le trasgressioni nascono nei punti in cui si percepisce che ci sarà una qualche fatica. Una due giorni di musica, oltre all'arpeggione del sabato sera (indimenticabile, vero???), sulle note di:



Per non farci mancare nulla, martedì all'incontro, mentre si rifletteva, con una certa profondità ed attenzione, di relazioni e di amore, partendo da alcune letterine, Valerio e altri facevano la seconda cena a base di crescentine e salame. Verso le 22 siamo saliti nella sala da pranzo in canonica, dove don Mario ci ha offerto varie torte, del latte e della coca-cola: una vera terza cena!!!
Se avete mangiato bene, siamo pure invitati un martedì sera ad una vera e propria cena in canonica (così anche Panna non si scorda di mangiare a casa...)...