sabato 30 gennaio 2010

L'uomo che verrà - Recensione pre-visione

Domenica sera cinema...

Qui la videorecensione di Mereghetti. Così per farsi un'idea di quello che andremo a fare...

Il cinema è in via Rialto: scendendo col 25 in via San Vitale, attraversando Piazza Aldrovandi e via Guerrazzi, è dopo l'incrocio con via Santo Stefano...

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mercoledì 20 gennaio 2010

Felicità Beata: senza trascurare le oscurità, ma superandole (2° parte)

5. Beati i misericordiosi. Si considera l'aspetto mistico del tema. Contro la competizione spietata che attanaglia le nostre vite, che ci valuta in base al valore di mercato, i misericordiosi sono coloro che hanno rispetto per la dignità umana. Sono i compassionevoli (da cum-patire). La misericordia ci fa provare quei sentimenti umani che il mondo della tecnica ci ha tolto e ci fa sentire "vivi". E' la cura del nostro spirito, per non essere solo macchine...
Al posto del sacrificio con cui l'uomo distrugge se stesso, Dio vuole un uomo misericordioso, un uomo che ama come Dio ci ama.

6. Beati i puri di cuore (che vedranno Dio). Sono i semplici, quanti non hanno bisogno di raccontarsi con un'enfasi eccessiva e inventata, ma sanno parlare di sé nelle proprie piccolezze e difficoltà. Sono quanti sanno dire senza il peso di dover impressionare: sono in pace con se stessi perché non hanno il cuore intorbidito da desideri di prevaricazione (i maragli, solitamente mostrano un bisogno di affetto che carpiscono). La purezza comprende la visione intima di Dio in sé: non si ha bisogno di "raccontarsi" in modo esagerato per fare colpo, perché si ha la consapevolezza che il possesso di Dio ci rende già belli. La purezza è la bellezza. A cui, al contrario, si oppone l'utilità. Non essere puri di cuore, coincide con l'atteggiamento di chi utilizza l'altro per soddisfare se stesso.

7. Beati gli operatori di pace (che saranno chiamati Figli di Dio).
Sono coloro che sanno usare un linguaggio conciliante: hanno trovato la pace dentro di sé, la pace del sentirsi Figlio di Dio, e la sanno trasmettere ai popoli. Sono disponibili e concilianti, in primis con se stessi (col proprio avversario interiore e con le proprie emozioni). Si è felici laddove si prescinde da se stessi e ci si impegna per gli uomini, abbandonando l'egocentrismo del sé, per occuparsi degli altri. La pace supera le lacerazioni e si mostra nel suo processo creativo (cfr. M.L.King, La forza di amare).

8. Beati i perseguitati a causa della giustizia (di essi è il regno dei cieli).
I perseguitati, così come i martiri, sono saldi nelle proprie convinzioni; coraggiosi nel difenderle, senza essere arditi. Non mutano nelle attese altrui, non cambiano. Sono liberi interiormente, non hanno vincoli tranne Dio che regna in loro.

La nostra guarigione, la nostra felicità si realizza nella ricerca della nostra interiorità: nel riconoscimento che la spiritualità accostata all'uso corretto della ragione sono la nostra forza. Spiritualità, cioè attenzione ai sentimenti più profondi e la capacità di saperli riordinare secondo virtù, giustizia e perdono; ragione, cioè la capacità di saper calcolare la nostra responsabilità.
Le beatitudini sono vie promesse a noi, ma già presenti -come possibilità- in noi; sono inaspettate ma realizzabili.
"Le beatitudini intonano una nuova melodia per questo mondo e oltrepassano quello che c'è. Sono affermazioni di contrasto e contraddizione, di ammonimento e di speranza. Riguardano l'esterno del mondo e l'interno del nostro pensare e sentire". Rendono il nostro interno decisivo nell'azione sull'esterno: la nostra bellezza (o felicità) non proviene più dalle cose, ma da noi stessi.

Queste parole penetrano in noi e ci portano a contatto con una possibilità che sonnecchia: davvero Gesù è Parola che è Vita. Con le Beatitudini, infatti, risveglia la presenza divina in noi perché scendiamo dalla montagna nelle valli e negli abissi oscuri del mondo per trasformarlo secondo il disegno del suo Creatore.

"La felicità spezza la limitatezza della finitezza e consente all'essere finito di partecipare all'esperienza dell'infinita". Ci slega dalle cose che passano, per unirci a ciò che non si consuma col trascorrere del tempo. Solo così, allora, potremmo dirci "perfetti, come perfetto è il Padre nostro che è nei cieli

lunedì 18 gennaio 2010

Felicità Beata nell'esperienza di Dio (1° parte)

Qui il testo del brano (inserire Mt5,1-12).
Qui quanto ne scrive il catechismo.

Anzitutto si noti la struttura delle Beatitudini: la figura retorica dell'inclusione, l'ottava B. riprende alla lettera la prima e suggeriscono che le Beatitudini sono inquadrate sotto il segno del Regno. A metà, la quarta B. è ricollegabile all'ottava mediante il tema della giustizia, possibilità dell'operare responsabile dell'uomo, ma realmente dono gratuito di Dio.
Divise in due tronconi, le prime quattro strofe sono costruite per antitesi (per contrasto: voi che studiate il contrappasso, dovreste intendervene...); le ultime quattro per connaturalità. Si è soliti ritenere che la nona beatitudine sia rivolta ai discepoli (voi) e si ritiene che per le folle il discorso delle B. ne trasmetta otto. L'armonia della composizione difende questa concezione; le prime quattro sono composte di 36 parole, così come le seconde quattro. La nona di 35. E, senza lanciarsi in un discorso numerologico troppo accurato (che comprende un'analogia con l'ottuplice via che secondo Budda conduce all'illuminazione), riprendiamo la spiegazione di S. Agostino: musicalmente, all'interno della scala, l'ottava riprende la tonica e la riprende trasformata; così le beatitudini riplasmano l'uomo come era stato originalmente pensato nella creazione. L'otto rappresenta l'ottavo giorno, quello della risurrezione. In questo senso sono una realizzazione della felicità del paradiso già in questa vita.

Leggendole una ad una (e qui lo faremo per le prime quttro), ci accorgiamo di come l'annuncio gioioso di Gesù corrisponda ad una trasformazione necessaria. Coincidono sia la consolazione che l'esortazione all'azione: consolati ed amati per ciò che siamo, ci è indicata la via verso la felicità (che Matteo raffigura come via verso l'apice del monte; e che Dante riprende).

1. Beati i poveri in Spirito: sono coloro che non fanno dipendere il proprio valore dalle cose esteriori, sono coloro che non sono succubi della moda e della necessità di avere status symbol di riferimento. Sono quanti possono parlare liberamente, senza aver l'ossessione di doversi sentire impostati per essere importanti. La loro indipendenza dalle cose li rende liberi interiormente: non sazi e quindi disponibili. Inoltre sono capaci di condividere ciò che hanno, ponendosi al di là di ogni logica di sfruttamento. Sono aperti al dono di Dio, che li riempie realizzando la loro felicità: nel regno di Dio l'uomo trova il proprio sé.
2. Beati gli afflitti: pur rappresentando tutta l'umanità consapevole delle proprie imperfezioni, ne individua la capacità di ricevere consolazione per quanti sono capaci di vivere la propria condizione, senza fuggirla trovando facili scappatoie o alternative (volete esempi?), false speranze o stereotipi. L'elaborazione di un lutto (inteso come perdita quotidiana), intesa come congedo da ogni illusione, è positivo e allontana dalla depressione, dalla sterilità e dall'improduttività interiore. Il presupposto della consolazione è insito nello Spirito che assiste e fa vivere in altro modo ciò che il lutto toglie.
3. Beati i miti: sono gli umili, quanti avvertono l'esigenza di mitezza nelle cose umane, tenendosi distanti dall'aggressività e dalla violenza. E' il desiderio di un mondo diverso. Sono coloro che sono capaci di raccogliere tutto di sé, anche gli errori; che hanno uno sguardo lungo e profondo che permette loro di non accusare gli altri, ma di farsi servitori degli altri. Non sono sprezzanti degli altri, né di se stessi: sono capaci di accettarsi per ciò che sono. Il loro orizzonte è la Terra...
4. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: sono coloro che non si accontentano dello schermo di legalità messo sulle cose, ma mettono in questione i potenti. Sono i misericordiosi. La giustizia ricapitola tutte le virtù: il giusto, quindi, non cerca più il proprio volere, ma accetta ciò che gli viene affidato da Dio e lo realizza attraverso una via virtuosa (!!!). La fame e la sete implicano l'impegno necessario e il desiderio ardente che sta dietro ogni buona azione: l'indolenza è, infatti, l'atteggiamento di chi non si impegna.

Gli altri, nel prossimo post...

venerdì 15 gennaio 2010

Beatitudini - Introduzione


Le Beatitudini (Mt 5,1-12) sono l'inizio del Discorso della Montagna, un componimento lungo e unitario in cui Gesù, considerato da noi lettori il Risorto, istruisce le folle (in particolare si ritiene che il discorso sia rivolto alla Chiesa, vista nei discepoli e nei curiosi che si aprirono all'amore del Dio che si rivela) non su cosa sia il Regno di Dio, ma di chi sia. Gesù che insegna è "maestro" e riconoscerlo tale significa ritenersi discepoli, bisognosi di una Parola di vita che in Gesù si realizza nella congiunzione tra annuncio/testimonianza ed espressione viva.
Se il discorso "proclama le condizioni del Regno", il suo nucleo non può che essere il Padre Nostro. La meraviglia di fronte al mistero del Regno è confermata dal fatto che l'inizio del Discorso è costruito sulle Beatitudini, atti pratici del nostro vivere. In questo senso il Regno di Dio, le cui condizioni sono contenute nelle Beatitudini, è una forza, un dinamismo che crea ordine nel mondo e nella storia. Non proviene dall'esterno, non cade dal cielo, ma viene e verrà secondo un processo di sviluppo; il cui incipit, se mi è concesso, è interiore all'uomo.

Non voler essere ignari o tiepidi, significa avere la consapevolezza di una felicità non intesa come un articolo di consumo, bensì espressione di una vita riuscita in cui la spiritualità ci guida. Avere responsabilità, congedandosi dalle illusioni e dalle idolatrie, consapevoli del significato del vivere nel mondo è l'impegno in cui siamo guidati attraverso le Beatitudini. Il testo ha lo scopo di darci un'indicazione per il nostro essere, orientandoci ad un significato di vita piena; sono errate le letture secondo una morale rigida, o che si soffermano sull'inefficacia dell'agire umano (leggasi: è errata la lettura delle Beatitudini declinata al futuro, come se la loro realtà fosse possibile solo nel Regno dei cieli); la lettura più corretta è quella che vi indica l'atteggiamento di ricerca dell'amante - che non calcola bensì ama.

Il desiderio di felicità dell'uomo nelle Beatitudini non gira a vuoto, trova uno sbocco pratico; mostrando la necessità del desiderio dell'assolutamente Altro. Le beatitudini sono finestre che liberano il nostro sguardo per una realtà diversa che si trova già nel nostro cuore. Realizzando una felicità perfetta che, alla conclusione della prima parte del Discorso della Montagna (Mt 5, 48), si esprime nell'invito ad essere "perfetti, come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli".
Il desiderio non gira a vuoto: l'uomo che si riconosce debole e fragile, nelle Beatitudini non può dirsi abbandonato anzi, è preso sul serio per ciò che è. L'esperienza di Dio è tale che l'uomo diventa uno assieme a Lui. La felicità è espressione del comportamento dell'uomo, non la sua conseguenza.

Infine, prima dell'analisi di ogni beatitudine, sottolineerei la significatività del Monte: via mistica per vedere le cose da un altro luogo, esso accosta Gesù a Mosé: Gesù è il nuovo interprete della Legge.