venerdì 27 maggio 2011

Quello che non sappiamo ancora dei quesiti referendari

Il 12 e 13 giugno siamo convocati ad un Referendum abrogativo su quattro quesiti distinti, ma di interesse generale e su cui, anche se non abiamo raggiunto la maggiore età, conviene essere informati. A leggere i quesiti, infatti, ci si accorge che interrogano la cittadinanza su punti specifici che, in punta di diritto, evidentemente, sono limitati rispetto ai grandi temi su cui sarebbe interessante riflettere e su cui tutti devono avere un'idea.

Un buon sito, sintetico sui punti, è questo: prima dice qualcosa sul Referendum in sé: il voto è un dovere civico (art. 48) a cui tutti accedono raggiunta la maggiore età (ibid.); il referendum si indice per abrogare una legge (art. 75). Lo stato deve agevolare la partecipazione di tutti, deve garantire un'informazione adeguata (art. 3: rimozione degli ostacoli ... che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione)!

I QUESITI

L'ACQUA. Due i quesiti sull'acqua "pubblica". Il primo interviene sull'articolo 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, convertita in legge Legge 6 agosto 2008, n. 133, modificata LEGGE 23 luglio 2009, n. 99 attraverso una legge che dispone un diverso utilizzo dell'energia e dell'acqua, e modificata da altre due leggi, l'articolo 15 della legge 25 settembre 2009, n.135, convertito in legge il 20 novembre 2009, n.166. I testi in sé non sono semplicisissimi, e i diversi rimandi non semplificano le cose. Per chi volesse guardare i link, l'articolo 15 del settembre 2009 è certamente uno di quelli più ricco di cose.

Questo quesito si interroga sull'obbligo della gara e l'affidamento della gestione dell'acqua a privati (poi aggiungo qualcosa).

Il secondo quesito interroga sull'abrogazione di una riga del primo comma dell'articolo 154 del decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Nello specifico di quella sull'adeguatezza dela remunerazione del capitale investito. Si tatta, quindi, di eliminare dalla tariffa dell'acqua gestita dai privati il guadagno del capitale investito. A me pare evidente che, togliendo questa riga, venga meno l'interesse speculativo: non è che l'acqua sarebbe gratis, ma resterebbe la tariffa solo per il costo del servizio di gestione. Gli extra-profitti sarebbero limitati.

Sull'acqua si deve discutere parecchio, perché la legge ha trasformato una cosa che l'ONU ha recentemente definito un diritto fondamentale dell'uomo in un bene (in una merce: lo Stato che trasforma in merci ciò che gli appartiene, è uno Stato mercificato, in cui la politica è succube dell'economia). Anche il papa, nell'enciclica Caritas in Veritate ha indicato nell'acqua un diritto fondamentale per la vita. Ed è evidente che un diritto non possa essere considerato un bene.

Un sito interessante, benché puntiglioso, sui quesiti del referendum è LaVoce: due economisti ci ricordano che non è che con l'abrogazione della legge l'acqua resterà pubblica o viceversa, perché l'acqua è pubblica (lo dice anche questa legge), ma la gestione sarà privata. A me alcune cose non tornano del loro discorso, ma le questioni sollevate solo interessanti. Tuttavia credo che non si risolve il problema degli sprechi dell'acqua solo affidandola ai privati: la legge eccede il problema. Inoltre la gestione renderebbe i privati proprietari. Nel sito, guardatevi anche i commenti: alcuni sollevano questioni interessanti e le risposte ai commenti.
Di rilievo l'impegno di Alex Zanotelli sull'acqua pubblica e 2. Occorre chiedersi se vogliamo davvero mercificare tutto, o se resta qualcosa al di fuori del mercato. In fondo, io non vedo grandi motivazioni nella "privatizzazione", credo che sia possibile migliorare la qualità dell'acqua lasciandola in mano al pubblico.

IL NUCLEARE. Ancora il sito con il quesito. Tutto sommato, le cose qui sono più semplici dal punto di vista del diritto. Tuttavia qualche considerazione possiamo farla. Intanto due siti: 1, 2. Un video di Grillo dall'intervista ad AnnoZero. Secondo me occorre chiedersi se sia sensato ricorrere ad una teconologia che nessuno realizza più (nessuno costruisce più centrali nucleari) e che sembra aver raggiunto il proprio picco di funzionalità e che aprirebbe a diverse problematiche, intanto dalla localizzazione del sito di costruzione, inoltre a quello per lo smaltimento delle scorie radiattive, infine al fatto che dobbiamo importare l'uranio e, ultimo ma non ultimo, l'elevato consumo energetico della centrale nucleare. Aggiungo anche: siamo in grado di costruire centrali, ne abbiamo il know-how o dovremmo importarlo? A chi conviene sviluppare una tecnologia superata, che però permette di accumulare ingenti quantità di denaro? (Ci rassegneremo ad un presidente-costruttore...) Chi dovrebbe regolamentare l'uso di una tecnologia che comporta rischi mondiali?

LEGITTIMO IMPEDIMENTO. Ancora il sito e un altro generale. Nonostante quello che si può ritenere, considero questo punto meno rilevante degli altri, anche se, com'è ovvio, è un referendum contro Berlusconi che ha fortemente voluto questa legge e che ne usufruirà più di tutti. In effetti se in sé le cose non cambieranno, se non che si appesentirà la magistratura (e si dice tanto che vogliono il processo breve) per qualcosa di inutile, perché resteranno i magistrati a decidere sulla liceità della richiesta; tuttavia far passare anche questa significherebbe far credere a Berlusconi che può permettersi di combinare quello che vuole perché per gli italiani il rispetto della legge non è di rilievo. Si potrà poi giudicare se il legittimo impedimento sia necessario per i cittadini o se sia conveniente per pochi...

Considerate, qualora il referendum fallisca, che il governo si sentirà autorizzato a procedere e sfrutterà il fallimento ben oltre i limiti di queste leggi. Informarsi e partecipare è, quindi, estremamente importante, perché permette di riaprire un dialogo (sia con lo stato che anche tra noi) che in fase parlamentare è mancato. E, su temi così vitali, invece, sarebbe fondamentale!

Discuterne e dibatterne lontano dai modelli televisivi, diventa un modo per riappropriarci della politica e trasformare questa società...

9 commenti:

Anonimo ha detto...

http://qdrmagazine.it/2011/4/4/08_morando.aspx

Enrico Morando, PD ex DS, spiega perchè i referendum sull'acqua sono un autogol. Non nel senso propagandistico, ma proprio che danneggiano il sistema di distribuzione idrico pubblico e ne limitano la possibilità di sviluppo e risanamento.

Alessandro Canelli

(more to follow)

Anonimo ha detto...

Dal blog www.landino.it curato da ex membri di presidenza nazionale FUCI, tra cui attuali parlamentari PD, sindacalisti etc.
Un ragionamento lineare e chiaro sui referendum.
Alessandro Canelli

Un errore da evitare
Cultura, Politica, Società | Giorgio Armillei | aprile 11, 2011 10:49 am
http://www.landino.it/2011/04/un-errore-da-evitare/

(...)
La vit­to­ria del sì, dal punto di vista cul­tu­rale e poli­tico, ci ripor­te­rebbe indie­tro di 40 anni, alla fase nella quale si comin­ciava a met­tere seria­mente in discus­sione una vec­chia con­vin­zione del secolo social­de­mo­cra­tico. La con­vin­zione per cui il fun­zio­na­mento difet­toso del mer­cato, ad esem­pio nella for­ni­tura di ser­vizi di inte­resse gene­rale, debba essere cor­retto affi­dando que­sti ser­vizi allo stato o ai poteri locali. Il “socia­li­smo muni­ci­pale” ne è una ver­sione. Dimen­ti­cando così che a quelli che gli eco­no­mi­sti chia­mano fal­li­menti del mer­cato si affian­cano altret­tanti, e spesso più insi­diosi, fal­li­menti dello stato (e in gene­rale dell’azione dei pub­blici poteri): ende­mica impos­si­bi­lità di disporre delle infor­ma­zioni suf­fi­cienti a pro­durre ser­vizi effi­cienti; crea­zione di ren­dite di posi­zione legate ai mec­ca­ni­smi redi­stri­bu­tivi gestiti discre­zio­nal­mente dal potere poli­tico; rinun­cia ai bene­fici della com­pe­ti­zione nella pro­du­zione dei beni e nella sod­di­sfa­zione delle domande e dei biso­gni. E si tratta di fal­li­menti evi­denti non solo agli occhi dei libe­ri­sti, con­si­de­rando che quelli appena sin­te­tiz­zati ven­gono da un elenco defi­nito alla fine degli anni ottanta da Joseph Sti­glitz, non certo un ideo­logo del mercato.

L’Italia ha impie­gato molti anni a capire che la fun­zione dello stato — e dei poteri locali — non è di gestire i ser­vizi di inte­resse gene­rale quanto quella di rego­la­men­tarli lasciando che il mer­cato, in varie forme, fun­zioni anche per loro. O che si creino comun­que forme di autor­ga­niz­za­zione sociale. Ha impie­gato molti anni a capirlo e sta ten­tando in molti modi di far finta che non è vero. Il sì ai refe­ren­dum darebbe una mano a que­sto ten­ta­tivo. Un errore da evitare.

Anonimo ha detto...

Ultimo, prometto.
Perchè considero l'argomento dello scopo di lucro un argomento suggestivo ma infondato.

Considerate questo: il nostro stato, come tutti gli stati del mondo occidentale, va avanti con un elevato ammontare di debito pubblico.
Debito che in fondo altro non è che un finanziamento allo stato da parte di privati, che cercano una remunerazione del proprio investimento.
Sì! anche noi quando sottoscriviamo un bot, lo facciamo a scopo di lucro.
Quindi il nostro stato si configura in una buona parte come una attività volta a remunerare l'investimento di privati.
(Quando poi non fossero addirittura stati esteri, coi cosiddetti fondi sovrani...)

Inoltre il sistema di gestione della rete che si ipotizza già governa la nostra rete bolognese attraverso Hera, società mista pubblico-privata quotata in borsa.

Alessandro Canelli

Anonimo ha detto...

Ok non era l'ultimo.
Su Zanotelli.
Mi pare che la sua battaglia sia volta a preservare risorse preziose che nel terzo mondo rischiano di venire mercificate nel senso in cui si mercifica il petrolio, o altri minerali estratti dal sottosuolo (ovvero, nel cvaso del petrolio, lo stato concede a una società i diritti di estrazione in cambio di una quota fissa per ogni barile estratto).
Ma da noi questo si verifica solo quando le fonti di acqua vengano concesse alle società che la imbottigliano - e quello è un altro ordine di problemi.
Qui si tratta invece di chi gestisce la distribuzione dell'acqua e le strutture relative. Quindi in realtà il riferimento al terzo mondo mi pare fuori luogo.
E ricordiamo come le strutture pubbliche spesso siano gonfiate di dimensioni e costi per esigenze di clientela politica (vedi parentopoli a Roma, o il transito da politica a società a partecipazione pubblica che è una regola qui da noi).

Filippo ha detto...

Grazie alessandro degli interventi.. quando ho tempo li approfondirò.. in merito alle cose che hai scritto però credo che sia vero che la gestione pubblica spesso faccia "acqua" (per restare in tema) ma certo è, che, se si segue questo ragionamento, allora niente dovrebbe essere lasciato in mani al pubblico.. ed invece credo che vada responsabilizzato chi ha la gestione di un qualsiasi bene pubblico (i dirigenti pubblici hanno finalità ben definite e che non si capisce perchè, quando non vengano mantenute, non si prendano provvedimenti..). Quindi credo il problema sia da un'altra parte. Inoltre nei prossimi anni verranno stanziati miliardi in investimenti per la sistemazione della infrastruttuta idrica ed un timore è che i privati vi vogliano entrare anche per accedere a tali finanziamenti. Anche in questo caso purtroppo l'esperienza insegna che i controlli non sono così facili,immediati ed efficaci.. Dal punto di vista concettuale credo che un bene quale l'acqua che è un bene essenziale per lo sviluppo e la vita delle popolazioni necessiti di una garanzia di fruibilità per qualsiasi cittadino, alla stessa stregua ad es. del servizio sanitario che credo sia un elemento distintivo di una società democratica ed umana (nonostante sicuramente ci possano essere anche in questo miglioramenti e maggiore efficienza di servizio..).
Questo è un pò il mio pensiero in sientesi....
Filippo

Anonimo ha detto...

In risposta a G. Armillei, credo decisiva la distinzione tra acqua come bene e acqua come diritto. Un bene è mercificabile, un diritto no (che poi lo siano, è un altro discorso, dovremmo farci un esame di coscienza, invece che strizzare l'occhio alle privatizzazioni selvagge). Stiglitz ha scritto ben altro dagli anni '80 in qua, ad esempio in "Privatization. Successes and failures", ed. Gérard Roland, Columbia Univ. Press, 2008. Citare solo alcuni articoli non è corretto, né onesto.
Sotto questo punto di vista, infatti, lo sconforto per un pubblico inefficente, non può farci prendere la decisione opposta: non si esce dalla selva intraprendendo la strada opposta di quella percorsa finore, così facendo non si sa dove si va a finire. E non se ne esce più, perché tra 10 anni cambieremo strada di nuovo.

Se nell'acqua pubblica si riconoscono dei problemi, risolverli singolarmente, piuttosto che abbandonare il campo, è il modo più intelligente di affrontarli. Perché la "privatizzazione" non è la panacea di ogni male. E su questo occorre essere onesti; parlare solo delle perdite del pubblico è un modo alla Grillo di affrontare i problemi: un modo inutile!
Non si negano le perdite, però vaneggiare che solo i privati, abbandonati a loro stessi, possono sviluppare e risanare il sistema idrico, è un modo incerto di affrontare le cose. Perché non entra nel merito della questione: dipinge un futuro roseo, senza discuterne, perché l'unica cosa certa è la privatizzazione.
Entrare nel merito della questione significa interrogarsi sulla realtà dell'acqua: bene/merce o diritto fondamentale?
Purtroppo ci tocca essere radicali (cioè andare alla radice, toccare le fondamenta delle cose, indagarle...), troppa superficialità e faciloneria consegna l'Italia in mani straniere; pensare che una legge sia buona solo perché è una legge, senza riconoscere i collegamenti oscuri che vi sono dietro essa, è un modo ingenuo, infantile e stupido di affrontare le cose. (E nell'essere radicali, non si potrà tollerare la "tolleranza repressiva" di questo tempo!)

L'altra questione è quella della politica. Si confonde, o si dimentica, che chi dovrà controllare i privati sono quegli stessi a cui non si riconosce più alcuna capacità di gestione e controllo.
Qualcosa non mi torna. L'abbandono dei politici della politica, è un pessimo sintomo per la nostra democrazia. E quando l'economia sovrasta la politica, nulla di buono si prepara all'orizzonte.

Personalmente credo che le soluzioni siano altrove, intanto nel non essere gli estremisti del privato (o dei nuovi monopolii), ma neanche del pubblico degerato all'italiana (da questo punto di vista, la consapevolezz della full cost recovery: l'acqua ha una tariffa riguardo la distribuzione, è importante, ma non può dare il via alle speculazioni). Ci sono vie di mezzo, che devono avere un fondamento certo: l'acqua come diritto.
Ai fallimenti e alle difficoltà della politica, dovuto in gran parte ai trent'anni di berlusconismo (dalle televisioni alla discesa in campo), non si reagisce strizzando l'occhio ai Berluscones...

ciao,
fb

Anonimo ha detto...

http://inaltrosenso.altervista.org/?p=352 (sull'inganno dell'acqua!)

http://inaltrosenso.altervista.org/?p=345 (sul nucleare!)

inAltroSenso...

Anonimo ha detto...

Aggiungo visto il riferimento alle recenti encicliche.
Per completare il quadro di riferimento dottrinale riguardo all'intervento pubblico nell'economia, ed al rapporto pubblico-privato, è utile fare riferimento alla Dottrina Sociale ed al principio di Sussidiarietà - cito qui sotto (il virgolettato è dalla Centesimus Annus)

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#IV.%20IL%20PRINCIPIO%20DI%20SUSSIDIARIET%C3%80

Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico: « Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese ».Il mancato o inadeguato riconoscimento dell’iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà.

Anonimo ha detto...

Per completare il quadro di riferimento dottrinale - in cui vanno inserite le citazioni della Caritas in Veritate - consiglio di prendere in esame anche il principio di sussidiarietà come enunciato nel Compendio della Dottrina Sociale, vedi citazione e link qui sotto (il virgolettato è citazione della Centesimus Annus)

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html#IV.%20IL%20PRINCIPIO%20DI%20SUSSIDIARIET%C3%80

Con il principio della sussidiarietà contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico: « Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese ». Il mancato o inadeguato riconoscimento dell’iniziativa privata, anche economica, e della sua funzione pubblica, nonché i monopoli, concorrono a mortificare il principio della sussidiarietà.