sabato 20 agosto 2011

I giovani e la razionalità del sacro

"Si fa un gran parlare di giovani. E', in fondo, la forma retorica più antica e consolidata che si conosca. Tanto è vero che si sprecano sempre affermazioni solenni e proverbilai quando non si comprende nulla o quasi di un certo fenomeno. Ben più complesso diviene, invece, il discorso non appena si vuole parlare realmente con cognizione di causa delle nuove generazioni in un contesto, come quello attuale, nel quale non sembra sia più possibile restare nei limiti di una sola cultura o di una specifica civiltà determinata.
Alcuni eventi sono una buona occasione per farlo. Il più espressivo del protagonismo peculiare dei ragazzi è certamente la Giornata Mondiale della Gioventù che si sta svolgendo in questi giorni a Madrid alla presenza di papa Benedetto XVI. Ho avuto modo di sperimentare personalmente di cosa si tratti in uttte le occasioni in cui ho accompagnato Giovanni Paolo II dai primi energici appuntamenti fino agli ultimi più faticosi. E poi anche Benedetto XVI in Germania nel 2005. E' stupefacente che dopo 28 anni non solo non è finita la spinta partecipativa, ma il coinvolgimento sembra perfino aumentato. Quest'anno, il rpofilo essenziale dei partecipanti si esprime così: età media intorno ai 22 anni, il 48% studia, il 40% lavora, il 6% è dsoccupato; uno su dieci è già sposato, il 55% vive in casa coi genitori. Provengono da 187 paesi diversi. La cifra totale dei partecipanti supererà il milione di persone.

Il dato è fin troppo chiaro per essere commentato. E' un campione rappresentativo, vasto ed eterogenero di persone normali. D'altronde, anche in altre occasioni diverse vediamo i giovani raccogliersi insieme per qualche scopo, senza particolari segni distintivi. E' il caso, ad esempio, delle propteste inglesi che hanno messo a ferro e fuoco la città di Londra, o della Primavera araba nel Magreb. Giovani, sempre giovani, differenti gli uni dagli altri, che agiscono in modo peculiare e per motivi comuni imparagonabili. Ma sempre e solo giovani, senza specifiche qualità.

Ecco che, leggendo ogni volta le statistiche, si rimane insoddisfatti, sprovvisti di una spiegazione valida sulle ragioni per cui non un bambino o un adulto, ma un ragazzo non più adolescente decida di dedicare alcuni giorni della proprio vita a stare con altri coetanei che non conosce, in una città che non gli è familiare, a vivere un evento di natura religiosa.
Il citato paragone può, in questo senso, aiutare a capire. I movimenti di ribellione britannica, sono espressione di un moral collapse come ha detto in modo sintetico il premier inglese David Cameron. Una paradossale assenza di finalità e d principi che si traduce in un nichilismo sconfinato. Distruggere, lo si apisce bene, è la quintessenza di una rabbia che trova soddisfazione unicamente nella violenza urbana e nel saccheggiare negozi. In quel caso siamo agli antipodi di Madrid, davanti ad un malessere generazionale che pone interrgoativi duri e chiare responsabilità; direi soprattutto a noi adulti.
Ma anche le rivolte poltiiche in Africa sono animate da una simile spinta generazionele, questa volta positiva. Anche lì sono i giovani a farla da protagonista, non volendo più accettare e tollerare di vivere al di sotto di loro stessi, delle proprie capacità, possibilità, libertà. E' lampante che rispetto al primo caso non è il nichilismo a spingere all'azione, ma una giusta volontà di cambiamneto, un anelito civile a riempire il vuoro sociale in cui si è costretti a vivere.

Paragonare a queste agitazioni di massa, quanto spinge giovani di tutto il mondo a stare alcuni giorni con il Pap è il desiderio di fare un'esperienza opposta e decisiva rispetto ad ogni altra. Anche se, a ben vedere, vi è una medesima opzione motivazionale forte, alternativa al restarsene a casa o al mare. Mi ricordo che proprio in occasione della giornata dei giovani a Roma nel Giubileo del 2000 Indro Montanelli scrisse che una spiegazione, in casi del genere non la dà né la sociologia, né la demografia: bisognerebbe entrare nell'ambito della religione. O esiste un fatto che chiamiamo sacro, oppure in questi casi non si motiva né si capisce niente di niente.

Logicamente, resta particolarmente importante chiarire cosa s'intenda qui con fatto religioso. Perché alcuni dei ragazzi che partecipano alla Giornata non sono credenti; allo stesso modo che non tutti coloro che rimpono le vetrine sono criminali o tutti colore che gridano libertà sono democratici. Mi ricordo di aver indagato in passato sulle ragioni di simile affluenza e di aver trovate delle risposte insolite ma coincidenti tra i ragazzi stessi che vi partecipavano. Alcuni mi rispondevano che nessuno, in società, a scuola o in famiglia, era in grado di dire qualcosa di simile a quello che stavano ascoltando. Alcuni confessavano il dubbio se sarebbero stati in grado di vivere sempre al libello etico che il Papa chiedeva loro, anche se si sentivano per questo, ancora di più, chiamati ad esserci. Tutti con disarmante semplicità affermavano: "ma lui, il papa, ha ragione". Cioè, dice il vero.

Comrpendere giornate intense di preghiera e ascolto, non rpive di sacrifici per i partecipanti significa andare al cuore dell'esperienza religiosa. Richiede di superare in modo drastico quel relativismo imperante che spinge a fare solo ciò che le proprie pulsioni - anche la noia - impongono. Davanti a sé e accanto a sé c'è una ragione che è vera, una spiegazione umana che garantisce di troare la proprio identità, oltre il proprio nulla e oltre i miraggi del conbenzionalismo insipido con cui spesso si presenta la politica.

D'altronde, tale spinta forte a afferrare con il pensiero, il core e la volontà il senso della vita, è l'essenza della sana ribellione che si chiama "vita interiore" (ecco perché leggere!!!). L'alternativa, non a caso, è il fondamentalismo irrazionale (vedi fatti Norvegesi) e il relativismo cinico, ma mai, in nessun modo, l'esperienza spirituale. Perciò, in definitiva, ad attirare tanti giovani a radunarsi è unicamente la razionalità del sacro: un desiderio di ascoltare la erità e di far parlare la coscienza, che solo può soddisfare le fresche aspirazioni di un giovane ad oltrepassare i circoscritti confini determinati dello spazio e del tempo. E quelli ancora più determinati della banalità...

J. Navarro-Valls, su La Repubblica

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