lunedì 26 settembre 2011

Sedotti e amati - Norcia-Assisi 2011

Succede qualcosa di speciale nel percorso che da Norcia ci porta ad Assisi. Potremmo dire che si parte in un modo e si arriva trasformati alla meta; potremmo dire che è un'esperienza unica. Ma su questa strada arriveremmo a credere che il campo è una parentesi, che il Norcia-Assisi è l'ultimo campo, che poi c'è la vita seria, quella vera con tutti gli ammennicoli del caso. Non è vero!!!

Abbiamo camminato più di 80km, Monastero in movimento con don Mario che ci seguiva confessando senza sosta. Abbiamo pregato, fatto incontri, riso e mangiato. Classico schema dei campi. Tutto come sempre per quei nove giorni d'estate e poi chi s'è visto s'è visto. Non è vero!!!

Il Norcia-Assisi non è un'aggiunta d'acqua alla vasca dei pesci, è un'onda del mare aperto; è un campo inquieto, perché inquietanti sono le domande che arriviamo a porci, esigenti le richieste del percorso che si compie, pauroso per le altezze a cui mira. Eppure si staglia lì, come i monti che dal basso dobbiamo salire senza saperne il senso e la meta. Siamo partiti con domande fondamentali sul nostro futuro, sui nostri sogni, annoiati da un Cielo che è lontano e incomprensibile, favoletta per i bimbi del catechismo. Nei dubbi della nostra vita, però, seguendo san Benedetto e poi san Francesco, abbiamo imparato come affrontare le nostre paure nella bellezza dell'incontro con Dio. Abbiamo sperimentato una vita nuova, secondo l'obbedienza, la castità e la povertà, non per essere diversi da noi stessi, ma per diventare sempre più profondamente noi stessi. Abbiamo vissuto che «non dobbiamo avere paura» di «aprire le nostre porte a Cristo» (Giovanni Paolo II).

In questo senso, il campo non può essere una parentesi. Perché siamo stati sedotti da Dio, «e ci siamo lasciati sedurre» (Ger 20,7) (come abbiamo cantato di fronte alla tomba di san Francesco, con tanto vigore da far tremare quella magnifica chiesa), ci siamo sentiti amati di un amore che ha acceso un fuoco incontenibile in noi, una gioia con cui affrontare i dubbi e vivere in pienezza. Tanto che la domanda del campo, da “come posso essere felice?”, è diventata, “Signore, cosa vuoi che io faccia?”. Perché in quell'incontro c'è la vita, c'è la nostra felicità personale. La fede, infatti, non è uno schema fisso, sterile, freddo. Al contrario è una relazione vera in cui, finalmente, possiamo essere noi stessi senza più carpire l'affetto altrui, ma sperimentando la grazia di Dio, donare il nostro amore per realizzarci.

Grazie a quel dono, non abbiamo più timore di essere noi stessi; non abbiamo timore di aprirci a Dio. Di sperimentare una vita distante dai canoni dell'efficienza macchinale o della durezza crudele di un mondo conformato a criteri inumani. Con san Francesco abbiamo visto che la povertà libera dalla schiavitù dei beni: anche il cellulare può non servire, e si resiste alla tentazione della coca-cola. Che l'obbedienza è non aver paura di farsi piccoli e, in quel gesto, aderire completamente a Dio e somigliargli: obbedire a lui non per contrariarci, ma per realizzare con profitti inattesi quei doni che abbiamo. L'obbedienza è grazia, dona di fare; dona di costruire il regno di Dio. Che la castità non è una continenza sessuale (un enorme grazie a Federica e Simone per quell'incontro presso la grotta del beato Alano), bensì un modo libero di relazionarsi con gli altri. Paletti di vita; qualcuno dirà costrizioni. Sappiamo che non è così.

Se da un lato vi sono delle difficoltà – come dire, il cammino è quasi all'inizio: i nostri desideri sono profondi e così dobbiamo vivere: approfondendo le nostre domande e le nostre ricerche... – dall'altro ne abbiamo già sperimentato i benefici: la gratitudine e l'assenza di violenza. E scusatemi se è poco, in una società ingrata, meschina e violenta. E ne abbiamo sperimentato anche le difficoltà nella grotta del nostro cuore, perché di venerdì abbiamo provato le durezza di questa segnaletica: l'incomprensibilità dell'obbedienza nel racconto della suora, la tentazione dei negozi di souvenir e alcolici contro l'essenzialità, la distanza dalla castità di linguaggi infarciti di parolacce e nella disattenzione agli altri.
Aver sperimentato una soddisfazione inedita, «sentimenti ed emozioni mai provate, conosciute solo per sentito dire» (Nico), non sono esperienze di una vita che si esaurisce, e anche le difficoltà si affrontano assieme e si superano. Con una guida, magari. Perché gli incontri, l'abbiamo visto, cambiano la vita. L'hanno cambiata a san Benedetto e a san Francesco: avevano sogni di grandezza, rischiavano di perderli e perdersi, hanno incontrato e ascoltato il Signore e nella fede hanno percorso la loro strada diventando quei santi che ancora oggi preghiamo: realizzando cose inattese, fino a giungere alla morte cantando.

Con una guida come può essere fra Massimo (Michi, hai capito come fare il nodo al laccio?), che abbiamo ascoltato ad occhi, orecchie e bocca aperta per due ore e quaranta minuti, mentre ci parlava dell'amicizia, dell'incontro, delle relazioni, della vita, dei suoi rischi, solitudini, falsità e difficoltà. In un incontro bellissssimo, durato non quanto la Messa di don Mario, ma come le due ore e quaranta di preghiera e ringraziamento a Gesù nell'ultima nottata del campo, in piazza S. Rufino. In mezzo a una sincerità e un'amicizia vera e sentita, commovente; che si contrapponeva esemplarmente alla serata in discoteca che aveva ravvivato e acceso la Rocca sopra di noi. Noi e loro. Non perché sia sbagliato andare in discoteca, bensì per la differenza che c'è tra le due cose e che nella nostra vita vera proviamo.

Perché è possibile vivere il Vangelo nel mondo attraverso il servizio a Cristo, andando anche a ballare, pur restando di Cristo: veri e liberi, casti e felici (parole con nuovi significati). Perché si può vivere la Gioia piena tutti i giorni come in quell'esperienza di comunità e convivialità. Ora possiamo rispondere: chi ci separerà da questo amore?

Difficoltà ce ne sono, ma alcune le abbiamo affrontate e superate assieme. Avevamo la voglia di Mac e un giorno abbiamo fatto hamburger e 8 kg di patatine per tutti. Volevamo cibi raffinati e abbiamo fatto fagottini di sushi all'italiana: mortazza e briciole di pane. Volevamo le grigliate di Monte Donato e abbiamo acceso un fuoco che ha illuminato i nostri cammini con la pancia piena di mele cotte alla cioccolata. Abbiamo creato una cassa in cui ogni volta che avevamo voglia di qualcosa mettevamo quegli spiccioli che risparmiavamo; accumulando 140 euro da destinare ad una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII per finanziare l'ingrandimento di una scuola per bambini costruita da un disabile conosciuto da Maria Chiara nel suo viaggio in Tanzania.

Abbiamo visto il cielo stellato e conosciuto la nostra spiritualità interiore. Un amore ardente.
Ormai lo sappiamo: nulla ci separerà, neanche i pensieri falsi. Con una guida, una comunità, con quell'amore. Sta a noi esserne consapevoli: ragazzi, è ora: zo da let!

Nessun commento: