domenica 19 dicembre 2010

Discorso sul Metodo (p. II)

Ma come fa un uomo che cammina da solo nelle tenebre, decisi di procedere così lentamente e di adoperare in ogni cosa tanta prudenza da evitare almeno di cadere, pur avanzando assai poco. Non volli neppure cominciare a respingere del tutto nessuna delle opinioni che potevano essersi già introdotte fra le mie convinzioni senza passare attraverso la ragione, se non avessi prima impiegato il tempo necessario a disegnare il piano dell'opera a cui mi accingevo, e a cercare il vero metodo per arrivare a conoscere tutte le cose di cui la mia intelligenza fosse capace.

Quando ero più giovane avevo studiato un poco, tra le parti della filosofia, la logica, e, delle matematiche, l'analisi geometrica e l'algebra, tre arti o scienze che sembrava dovessero contribuire in qualche modo al mio disegno. Ma esaminandole, mi accorsi che, per quanto riguarda la logica, i suoi sillogismi e la maggior parte dei suoi precetti servono, piuttosto che ad apprendere, a spiegare ad altri le cose che si sanno, o anche, come l'arte di Lullo, a parlare senza giudizio di quelle che si ignorano. E benché contenga di fatto numerosi precetti molto veri e molto buoni, a questi se ne mescolano altrettanti che sono nocivi o superflui, sicché è quasi altrettanto difficile districarne i primi quanto tirarne fuori una Diana o una Minerva da un blocco di marmo non ancora sbozzato. Per quanto mi riguarda poi l'analisi degli antichi e l'algebra dei moderni, oltre al fatto che si riferiscono solo a oggetti molto astratti e che non sembrano avere nessuna utilità, la prima è sempre così strettamente unita alla considerazione delle figure, che non può esercitare l'intelletto senza una gran fatica per l'immaginazione; e nell'altra ci si è resi schiavi di certe regole e formule tanto da farla diventare un arte confusa e oscura che impaccia l'ingegno invece che una scienza che l'accresce. Perciò pensai che fosse necessario cercare un altro metodo che, raccogliendo i pregi di queste tre, fosse immune dai loro difetti. E come un gran numero di leggi riesce spesso a procurare scuse ai vizi, tanto che uno stato è molto meglio ordinato quando, avendone assai poche, vi sono rigorosamente osservate; così, in luogo del gran numero di regole di cui si compone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quattro seguenti, purché prendessi la ferma e costante decisione di non mancare neppure una volta di osservarle.

La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne.

La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente.

La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'un l'altra.

E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla.

Quelle lunghe catene di ragionamenti, tutti semplici e facili, di cui sogliono servirsi i geometri per arrivare alle più difficili dimostrazioni, mi avevano indotto a immaginare che tutte le cose che possono rientrare nella conoscenza umana si seguono l'un l'altra allo stesso modo, e che non ce ne possono essere di così remote a cui alla fine non si arrivi, né di così nascoste da non poter essere scoperte; a patto semplicemente di astenersi dall'accettarne per vera qualcuna che non lo sia, e di mantenere sempre l'ordine richiesto per dedurre le une dalle altre. Né mi fu molto difficile la ricerca di quelle da cui bisognava cominciare: sapevo già infatti che dovevano essere le più semplici e facili a conoscersi; e considerando che di tutti coloro che hanno finora cercato le verità nelle scienze solo i matematici han potuto trovare qualche dimostrazione, e cioè delle ragioni certe ed evidenti, non dubitavo che avrei dovuto incominciare dalle stesse cose prese in esame da loro; anche se non speravo di ricavarne nessun'altra utilità se non quella di abituare la mia mente a nutrirsi di verità e a non contentarsi di false ragioni.

Ma non volevo, con questo, mettermi a imparare tutte quelle scienze particolari che son dette comunemente matematiche; e vedendo che, sebbene i loro oggetti siano diversi, pure concordano tutte tra loro nel considerare soltanto le varie proporzioni o rapporti in essi racchiusi, pensai che fosse meglio esaminare soltanto queste proporzioni in generale, supponendole solo in oggetti che potessero rendermene la conoscenza più agevole, ma non limitandole in nessun modo a questi ultimi, e questo per riuscire in seguito ad applicarle altrettanto bene a tutti gli altri cui potessero convenire. Poi, essendomi accorto che per conoscerle avrei avuto bisogno a volte di considerarle ognuna in particolare, a volte di ricordarle soltanto o di comprenderne molte insieme, pensai che, per meglio studiarle in particolare, dovevo raffigurarle in forma di linee, giacché non trovai niente di più semplice o che potessi più distintamente rappresentare alla mia immaginazione e ai miei sensi; e per ricordarle e per comprenderne molte insieme, dovevo invece esprimerle con qualche cifra tra le più brevi possibili. In questo modo avrei colto tutto il meglio dell'analisi geometrica e dell'algebra e corretto i difetti dell'una con l'altra.

Oso dire che la scupolosa osservanza dei pochi precetti che avevo scelto mi rese così facile la soluzione di tutti i problemi di quelle due scienze, che nei due o tre mesi dedicati a studiarli, avendo iniziato dai più semplici e generali, e diventando ogni verità che acquistavo una regola che mi consentiva di trovarne in seguito altre, non soltanto venni a capo di molte questioni che un tempo avevo giudicato assai difficili, ma mi sembrò anche, verso la fine, che avrei potuto stabilire, anche per quelle che ignoravo, con quali mezzi e fino a che punto fosse possibile risolverle. E in questo non vi sembrerò forse troppo vanitoso, se considererete che, essendoci di ogni cosa una sola verità, chiunque la trovi ne sa tanto quanto se ne può sapere; come, per esempio, un ragazzo che ha imparato l'aritmetica, fatta una addizione seguendo le sue regole, può essere certo di aver trovato, a proposito della somma cercata, tutto quel che l'intelligenza umana può trovarne. Perché insomma il metodo che ci insegna a seguire il vero ordine e a enumerare esattamente tutti i dati di quel che si cerca, contiene tutto ciò che dà certezza alle regole dell'aritmetica.

Ma quel che mi soddisfaceva di più in questo metodo era il fatto che, grazie ad esso, ero certo di usare sempre la mia ragione, se non perfettamente, almeno nel miglior modo possibile per me; e adoperandolo sentivo anche che il mio intelletto si abituava a poco a poco a concepire più nettamente e distintamente i suoi oggetti, e che, non avendolo limitato a nessun oggetto in particolare, potevo sperare di applicarlo alle difficoltà delle altre scienze con altrettanto successo, come mi era accaduto con quelle dell'algebra. Non che per questo osassi affrontare subito l'esame di tutti i problemi che si potessero presentare: sarebbe stato contrario proprio all'ordine prescritto dal metodo. Ma avendo considerato che i loro princìpi dovevano derivare tutti dalla filosofia, nella quale non ne trovavo ancora di certi, pensai che fosse necessario per me prima di tutto cercare di stabilirne qualcuno; e che essendo questa la cosa al mondo più importante in cui l'anticipazione e la precipitazione sono più da temere, non dovevo tentare di venirne a capo prima di aver raggiunto una età ben più matura dei ventitre anni che avevo allora. Avrei prima impiegato molto tempo a prepararmi a questo compito, sia sradicando dalla mia mente tutte le false opinioni che avevo già ricevuto, sia accumulando molte esperienze, destinate a diventare in seguito materia dei miei ragionamenti; e questo, continuando a esercitarmi nel metodo che mi ero prescritto, per acquistare in esso una sempre maggiore sicurezza.

R. Descartes, Discours de la Méthode, II.

Nessun commento: