mercoledì 30 dicembre 2009

Il canto delle spose


Film dai diversi contenuti: c'è il tema dell'adolescenza e della crescita; il tema dell'amore e della femminilità: il corpo della donna viene esplorato e corteggiato fin in dettagli inaspettati; il ruolo della donna nella società del secolo scorso e il tema della discriminazione razziale e religiosa. Tutti calati nel racconto di un breve scorcio di vita di due amiche, l'una musulmana e l'altra ebrea, nella Tunisi del 1942 invasa dai tedeschi che si accingono alla conquista dell'Africa.
Le leggi razziali del nazismo sono speculari alla condizione di privilegio sociale di cui godevano ebrei e francesi a scapito della popolazione musulmana; tutte queste altro non rappresentano se non lo sfruttamento dei potenti verso i più poveri che si perpetua nella Storia.
E' nell'amicizia tra Nour e Myriam che il film mostra un diverso tipo di rapporto con l'altro, fondato su una sentimentalità e un affetto sinceri e sull'aiuto vicendevole; come se, in un mondo spaccato e diviso e in cui l'uomo tende a sfruttare l'altro uomo, attraverso l'amicizia tra due ragazze che entrano nell'età matura (sono in procinto di sposarsi), attraverso gli occhi, i sentimenti e la loro ansietà di "sfruttate" per eccellenza, ci venga mostrata la possibilità di costruire un mondo diverso, in cui poter convivere. L'ostacolo della crescita è rappresentato dalla presenza nazista: è l'ostacolo del razzismo che perpetua lo sfruttamento secondo la logica della vendetta. Anche Nour ci casca, traviata dal futuro sposo che ha trovato un lavoro presso i tedeschi, lavoro a cui, si presume, non poteva ambire altrimenti a causa della sua condizione di musulmano, e che quindi nutre riconoscenza nei confronti di questi ultimi (che promettono l'indipendenza al Paese, una volta vinta la guerra), e condottavi dalla sua ignoranza (non poteva andare a scuola per motivi razziali): legge l'arabo a fatica e, nell'esercitarsi nella lettura del Corano, si sofferma su una parte che dà adito a ritenere che solo il musulmano sarà salvato a scapito degli infedeli.
Il conflitto tra le due ragazze esplode: quando Nour rinfaccia a Myriam la sua condizione, il dialogo incontra uno scoglio imponente. Si coglie l'illogicità del razzismo che solletica Nour, che non può che contraddirsi quando, sentendosi sfruttata da ebrei e francesi, non può che fare un'alternativa su Myriam: lei non è come gli altri, perché è una sua amica. Ed è un conflitto durissimo, mostrato in quei lunghi momenti di silenzio, nelle solitudini delle due ragazze e nel pianto di Myriam, culminante nel getto nel pozzo del bracciale d'oro che Nour aveva ricevuto dall'amica.
Sarà ancora la lettura del Corano a far comprendere a Nour che tutti gli uomini sono uguali, qualunque fede professino; meravigliosa è la scena: tra l'amore del padre, che le consiglia quale punto leggere, e lo spavento incredulo della figlia, che non si sente trattata come un oggetto, ma come una persona.
L'amicizia tra le due amiche, così travagliata dalla Storia e dalle vicende quotidiane, si ristabilisce nella scena conclusiva del film (e di un finale così aperto da lasciare spazio alla nostra immaginazione), quando in una casa diroccata dai bombardamenti, le due ragazze si incontrano e, stringendosi in un abbraccio, pregano la loro diversità e superano i pregiudizi razzisti.

Proprio per il tema razziale il film è straordinariamente attuale; arricchito dal concentrarsi sulle figure più ai margini della storia, la trama esprime tutta la sua potenza nel mostrarci la follia contenuta nella violenza e nell'odio per l'altro solo perché diverso e detentore di un privilegio; prima che le armi e la rivoluzione, può il cuore di due amiche, legate da un affetto indissolubile per quanto precario. Tuttavia il film non è così ingenuo da ritenere che il mondo si riduca alla contrapposizione odio/amore e che alcuni siano detentori dell'uno piuttosto che dell'altro. Il nodo di sfruttamento, di privilegio, di odio che predomina nella società, è unito agli affetti personali che ci legano a singoli; la vera forza dell'amore è riconoscersi umani e pieni di difetti, riconoscere i nostri stessi errori, gli errori delle proprie concezioni e la vacuità delle ideologie o delle volontà di potenza.
La possibilità di essere più uomini, contenuta negli sguardi e nell'abbraccio finale, ci offre l'occasione di liberarci dalle catene che ci imprigionano, di liberarci dal giogo del razzismo. Ma, come nel film, è una storia senza finale...

1 commento:

Diva. ha detto...

E bravo diba! me lo voglio vedere sto film..