mercoledì 22 settembre 2010

Diamoci la carica: scuola, studio e vita – 21/IX/2010

Matteo 25, 14-30
14 «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. 16 Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. 17 Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. 18 Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone.
19 Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". 21 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore".
22 Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". 23 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore".
24 Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". 26 Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. 29 Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 30 E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridore dei denti".

Riflessione e silenzio



“L'aspetto più sconcertante della vostra scuola è che vive fine a se stessa. Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle belle cose che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null'altro. Dietro a quei fogli di carta c'è solo l'interesse individuale. Il diploma è quattrini. [...] Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere arrivisti a 12 anni."

(Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa)

La scuola è diversa dall'aula di tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè di senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione)."
(don Milani, Lettera ai giudici, 18.10.1965, in L'obbedienza non è più una virtù)




Riflessione: aggiungere due parole, soprattutto al primo brano di don Milani è necessario. La situazione della lettera alla professoressa è nota: i ragazzi della scuola di Barbiana, dopo essere stati bocciati agli esami scolastici, scrissero in questo testo famosissimo le differenze tra come si intendeva la scuola pubblica e come era la loro scuola. La Lettera è d'una bellezza sconcertante, sia perché è capace di evidenziare tutti i limiti della scuola, e nel brano riportato questi limiti sono ben evidenti, sia perché si nota la grandissima abilità delle classi più umili (i figli di contadini) di raccontarsi e di spiegare come pochi altri hanno saputo fare il motivo per cui esiste la scuola. Si va a scuola per imparare, non per essere promossi o bocciati: il voto è una conseguenza di quello che lì si è fatto. Preoccuparsi solo del voto significa, oltre a tutto, pensare solo a se stessi, non aver colto il significato profondo della scuola, che è quello di imparare assieme, di essere comunità e di aiutarsi gli uni con gli altri.
Sapere questo e ricordarselo all'interno della festa della Comunità è un passaggio decisivo per vivere diversamente la scuola, per portarvi quella differenza cristiana, per portarvi quello che riceviamo dall'essere Comunità in parrocchia. Per portare quella serenità e quella carica che non troviamo in noi stessi, ma che gratuitamente riceviamo e possiamo mettere a disposizione per gli altri.
Detto questo, forse, studiare volentieri diventa possibile, perché non si studia più solo per primeggiare sugli altri o per vincere la competizione con insegnanti distanti da noi; non prevale la rabbia per insegnamenti noiosi, ma ci si può interessare di tutte le cose. Fino a capire che a scuola, conoscendo - e sbagliando - si impara a conoscere se stessi, a crescere con gli altri e a differenziarsi dagli altri senza aver paura di non dire la propria idea, bensì esprimendola con i dovuti modi a fratelli e non ad estranei.

La riflessione è solamente iniziata... 

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