sabato 22 maggio 2010

E se l'obbedienza non fosse una virtù?

Martedì abbiamo svolto un incontro sul famoso scritto di don Milani; avevate da leggere a casa la lettera che questi spedì ai cappellani militari (rileggetela al link). Costoro accusarono gli obiettori di coscienza, cioè quanti si rifiutavano di svolgere il servizio militare perché ritenevano che fosse in contraddizione con i propri valori, di viltà e di estraneità al valore dell'amore cristiano. La risposta di don Milani è vibrante: ripercorre la Costituzione e la storia, indicando come le guerre svolte non siano mai state un fiore all'occhiello per la Nazione, a meno che non siano guerre di liberazione da un invasore. La divisione che i cappellani militari fanno tra patrioti e stranieri, viene ripresa da don Milani, che reclama, sempre guidato dalla Costituzione, "il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto".
Dall'altro lato rivendica la necessità della critica intellettuale, e quindi la necessità di esercitare il proprio ingegno nella conoscenza delle cose: si è liberi se non si è subalterni, cioè se si ha una coscienza da esercitare che renda responsabili. La vera lotta di don Milani consiste nel ritenere tutti adatti a ricevere un'educazione che li renda liberi e responsabili, che ne faccia dei cittadini senza che possano essere ingannati dai padroni o dalla televisione. Che siano opinione critica e non solo un pubblico plaudente.

Don Milani viene citato in giudizio per apologia di reato e, portato davanti al tribunale, risponde con una bellissima lettera ai giudici che abbiamo letto quasi interamente martedì sera. (Tenetela presente, coltivatene i contenuti, perché vi torneranno davvero utili!)

Credo che vari siano i temi esplicitati: quelli politici della coscienza individuale e del valore della legge e della sua operatività (art. 3 della Costituzione), quello della responsabilità del cittadino di fronte alla violenza dello Stato (e, mi dispiace, anche di fronte alla violenza del fratello: ne siamo responsabili, così come siamo responsabili della povertà del povero). Dell'obbedienza agli ordini illegittimi, che abbiamo incontrato nel campo a Monte Sole: "A dar retta ai teorici dell'obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore". Quest'ultimo punto è decisivo.

Don Milani ci insegna il primato della coscienza: siamo liberi davvero solo nel momento in cui la nostra scelta è una scelta cosciente e quando è guidata dalla nostra educazione e non dagli istinti o dall'ordine di qualcun altro (o qualcos'altro). Il valore della liberà è immesso nella relazione comunitaria con l'altro, per cui vale solo se è rispetto delle regole di convivenza, nella convinzione che quelle leggi si possano migliorare civilmente: tramite voto e sciopero, appunto.

Così la libertà, che ci pare limitata dalla legge (la nostra libertà termina dove inizia la libertà dell'altro) è, in realtà una libertà totale laddove l'altro non è un nemico che mi svuota dei miei diritti, ma l'unico tramite per la realizzazione completa della legge, che posso incontrare nel dialogo. La libertà diventa tale solo d'innanzi alla legge che la coscienza si dà. La legge non è più un'imposizione di ordini altrui, ma il proprio volere che si è fatto ragione e che si fa comunità. L'esempio degli obiettori di coscienza non è di chi rifiuta la legge in quanto tale, ma di chi ama la legge e per migliorarla è disposto a pagarne le conseguenze. L'obbedienza cieca non è una virtù; è un virtù l'amore della legge, cioè la comprensione che la Legge (da quella umana, fino alla legge divina) è l'espressione di un amore e che tale vincolo sia primario rispetto alla legge presa singolarmente. Vi è la convinzione che l'amore per la Legge sia profondo, sia un amore per la legge del cuore. E di un cuore puro, liberato dalle tenebre.
L'obbedienza cieca annulla l'uomo, lo rende un automa, gli toglie il cuore infarcendolo dei suoi più biechi desideri e ne annega la coscienza e l'intelletto.
Al contrario di quanti, soprattutto oggi, violano la legge per vantaggi personali, eventualmente anche cambiandola per dar libero sfogo ai propri interessi a scapito degli altri; l'esempio degli obiettori di coscienza è di chi ama la legge e riconosce che la vita senza legge sia una vita immiserita, una vita da schiavi: le democrazie vivono se ciascuno si fa carico degli interessi generali (quanto è rousseauiano).

Se questo ci deve far riflettere, desidero che un altro punto sia di stimolo: l'attenzione di don Milani per quei 31 ragazzi incarcerati per obiezione di coscienza, "Così diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all'Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l'automobile. Non toccava a lui chiamare «vili e estranei al comandamento cristiano dell'amore» quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. E ciò nonostante non voglio che vengano su anarchici.

Ritengo che l'insegnamento più grande sia che l'avere delle regole ci tiene al riparo (badate, non lontani, ma al riparo) da egoismi, individualità, dal consumismo e dalle mode e ci faccia più vicini agli altri, agli ultimi e alla verità. E non è un caso se la via maestra di questo percorso è offerta dalla scuola, dall'educazione e dalla cultura.

Nessun commento: