giovedì 23 ottobre 2008

Ascolto - 2: fame di considerazione

Dall'incontro di martedì, una riflessione sull'ascolto


Plutarco, L'arte di ascoltare

Penso comunque che non ti dispiacerà ascoltare qualche preliminare osservazione sul senso dell'udito, che è esposto più di ogni altro alle passioni, dato che non c'è niente che si veda, si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti paragonabili a quelli che afferrano l'anima quando l'udito è investito da certi frastuoni, strepiti o rimbombi. Ma a ben guardare esso ha più legami con la ragione che con la passione, perché se è vero che molte sono le zone e le parti del corpo che offrono al vizio una via d'accesso per cui arriva ad attaccarsi all'anima, per la virtù l'unica presa è data invece dalle orecchie dei giovani, sempreché siano pure e tenute fin dall'inizio al riparo dai guasti dell'adulazione e dal contagio di discorsi cattivi.

È evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da qualunque occasione di ascolto e non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse un terreno non smosso ed incolto.

Dal momento dunque che l'ascolto comporta per i giovani un grande profitto ma un non minore pericolo, credo sia bene riflettere continuamente, con se stessi e con altri, su questo tema. I più invece, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell'arte di dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall'ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi s'accosta in modo improvvisato. Se è vero che chi gioca a palla impara contemporaneamente a lanciarla e riceverla, nell'uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto.

Il silenzio, dunque, è ornamento sicuro per un giovane in ogni circostanza, ma lo è in modo particolare quando, ascoltando un altro, evita di agitarsi o di abbaiare ad ogni sua affermazione, e anche se il discorso non gli è troppo gradito, pazienta ed attende che chi sta disertando sia arrivato alla conclusione; chi si mette subito a controbattere finisce per non ascoltare e non essere ascoltato, e interrompendo il discorso di un altro rimedia una brutta figura. Se invece ha preso l'abitudine di ascoltare in modo controllato e rispettoso, riesce a recepire e a far suo un discorso utile e sa discernere meglio e smascherare l'inutilità o falsità di un altro, e per di più dà di sé l'immagine di una persona che ama la verità e non le dispute, ed è aliena dall'essere avventata o polemica.
Ascolto è anche critica dell'altro, senza che questa sia mossa dall'invidia o semplicemente sterile. Non è difficile muovere obiezioni al discorso pronunciato da altri, anzi è quanto mai facile; ben più faticoso, invece, è contrapporne uno migliore. Per costruirne uno migliore occorre però essere in grado di ascoltare e porsi in “relazione” con l'altro.
Le persone sveglie e attente sanno trarre beneficio da chi parla non solo quando ha successo ma anche quando fallisce, perché, la pochezza concettuale, la vacuità espressiva, il portamento volgare, la smania, non disgiunta da goffo compiacimento, di consenso e gli altri consimili difetti ci appaiono con più evidenza negli altri quando ascoltiamo che in noi stessi quando parliamo. Dobbiamo perciò trasferire il giudizio da chi parla a noi stessi, valutando se anche noi non cadiamo inconsciamente in qualche errore del genere. Non c'è cosa al mondo più facile di criticare il prossimo, ma è atteggiamento inutile e vano se non ci porta a correggere o prevenire analoghi errori. Di fronte a chi sbaglia non dobbiamo esitare a ripetere in continuazione a noi stessi il detto di Platone: «Sono forse anch'io così?». Come negli occhi di chi ci sta vicino vediamo riflettersi i nostri, così dobbiamo ravvisare i nostri discorsi in quelli degli altri, per evitare di disprezzarli con eccessiva durezza e per essere noi stessi più sorvegliati quando arriva il nostro turno di parlare.

Quando si tratta di una discussione dobbiamo lasciar perdere la reputazione di chi parla e valutare esclusivamente il valore intrinseco delle sue argomentazioni, senza curarci degli applausi che riscuote, ma cercando di capire il senso del suo discorso e, confrontandolo con la realtà, avvederci se esso sia accettabile, e quindi apprezzabile o meno.
Bisogna eliminare dallo stile ogni eccesso e vacuità, mirando esclusivamente al frutto e prendendo a modello le api e non le tessitrici di ghirlande, perché queste, preoccupandosi solo delle fronde fiorite e profumate, intrecciano e intessono una composizione soave ma effimera e infruttuosa, mentre le api mirano sì al colore dei fiori, ma ne colgono l'essenza per la loro opera.
Questo non significa che non sia importante lo stile, che anzi è spesso il segno di una profonda riflessione da parte dell'oratore, ma esso deve solamente facilitare la comprensione di ciò che viene pronunciato, senza essere la prima cosa a cui fare attenzione: è uno strumento, non un contenuto. Al contrario si produrrebbe un deserto di intelletto e di buoni pensieri, molta pedanteria formale e verbosità, che non si avvicina alla vita, ma che condurrebbe il soggetto ad un deserto.

L'ascolto è centrale anche nel porre una domanda ad un oratore, per non essere tacciato di livore occorre capire le argomentazioni di chi parla, ascoltando tutto il suo discorso, senza esaurire la propria attenzione ad una semplice frase. La cautela e il senso della misura non stanno nello strozzarsi in gola un appunto che si potrebbe rivolgere, ma nell'ascoltare e nel capire le ragioni dapprima, per poi saper ribattere. In questo caso, la frase che si rivolge non è figlia solo delle riflessioni personali, ma, a seconda di chi ci si trovi di fronte, può prendere in considerazione anche quello che abbiamo appena ascoltato, non solo in modo polemico, ma per rivedere le proprie idee e crescere.

Ecco che abbiamo visto come non è solo chi parla ad avere dei doveri, sia verso l'uditorio che verso se stesso (mica potrà cancellare il proprio pensiero su cui magari ha riflettuto per anni, per soddisfare i desideri contrari degli ascoltatori), ma anche chi ascolta ha il dovere di farlo in modo opportuno. Senza però lanciarsi in una valutazione dei differenti diritti e doveri, possiamo notare che ogni dialogo si fonda sul rispetto dell'altro, sul riconoscimento dell'uguaglianza tra ascoltatore ed oratore, tra chi parla e chi ascolta.

Per concludere, ecco alcune norme di comportamento, per così dire generali e comuni, da seguire sempre in ogni ascolto, anche in presenza di un'esposizione completamente fallita: stare seduti a busto eretto, senza pose rilassate o scomposte; lo sguardo dev'essere fisso su chi sta parlando, con un atteggiamento di viva attenzione; l'espressione del volto dev'essere neutra e non lasciar trasparire non solo arroganza o insofferenza ma persino altri pensieri e occupazioni. In ogni opera d'arte, si sa la bellezza deriva, per così dire, da molteplici fattori che per una consonanza misurata e armonica pervengono a una proporzionata unita, mentre basta una semplice mancanza o un'aggiunta fuori posto per dare subito vita alla bruttezza: analogamente, quando si ascolta, non solo sono sconvenienti l'arroganza di una fronte corrugata, la noia dipinta sul viso, lo sguardo che vaga qua e là, la posizione scomposta del corpo e le gambe accavallate, ma sono da censurare, e richiedono molta circospezione, persino un cenno o un bisbiglio con un altro, un sorriso, gli sbadigli sonnacchiosi, lo sguardo fisso a terra e qualunque altro atteggiamento del genere.

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