giovedì 16 ottobre 2008

L'ascolto

Se vogliamo comunicare, è indispensabile riuscire ad ascoltarci, lasciar parlare gli altri e cercare di capire cosa intendono dirci, con l'umiltà di non ritenere solo le nostre idee le ragioni migliori, le uniche che abbiano diritto di essere pronunciate. Silentium est aurum è un ottimo motto, che ci ricorda come per dire qualcosa che abbia un qualche valore, occorre prima fare silenzio, non per cercare le cose dentro di sé (a meno che uno non speri che le idee gli nascano come Minerva dalla testa di Giove), ma per riflettere, capendo ciò che si sta per dire.
Ascolto non è solo udire, è qualcosa di più, dato dall'insieme di recezioni sensibili.

Per noi questo significa anche l'ascolto della Rivelazione. E' questo uno dei problemi più difficili, forse il primo di chi vuole credere (e forse anche la prima obiezione razionale di chi invece non crede). Trascina in gioco quelli che sono i nostri dubbi, le nostre incertezze (e per qualcuno anche l'insieme di debolezze umane che cerchiamo di superare nascondendo la realtà), perché ci pone di fronte ad un qualcosa che facciamo fatica a capire o che vorremmo capire come pare a noi, senza l'intralcio della Chiesa.
Eppure la rivelazione è veramente il momento principale, quello che dà valore alle nostre ricerche: è un'intuizione di un qualcosa che ascoltiamo e di una Persona che incontriamo che dà contenuto alla Rivelazione.
Sono due le caratteristiche che danno senso a questo ascolto e lo realizzano, da un lato che la Parola giunge alle nostre orecchie per mezzo della Grazia divina, dall'altro che a questa Grazia deve corrispondere una nostra buona disposizione: non si può incontrare qualcuno se non lo si vuole. Ed è più complesso se l'incontro non avviene con una persona in carne ed ossa, ma attraverso una parola.
Occorre quindi uno sforzo personale, che vada al di là della incapacità di comprendere, che vada al di là delle debolezze umane, che sia una quête che abbia la forza di non esaurirsi alla prima incertezza.
Tutto questo ha anche una conseguenza ben precisa, quella cioè che la conoscenza di Dio non avverrà solamente per una via razionale, ma sarà data dall'incontro con gli altri uomini, dall'incontro di Dio nell'uomo. Il significato dell'essere cristiani consiste nella vita insieme e interrogarsi attorno a questo non ha senso se fatto nel buio di camera propria, dove posso solo riflettere sull'incontro di comunione che ho avuto con Gesù e con gli altri.
L'incontro con Dio avviene nella nostra vita, avviene anche se non lo vogliamo (per grazia), ma ce ne possiamo accorgere se ne siamo disposti. Di solito si dice: se abbiamo un cuore aperto, non perché chi non lo incontra sia "cattivo", ma perché questi chiude uno spazio della sua vita, pone un rifiuto (i motivi sono vari e personali); crescere vuol dire accorgersi di questo luogo interiore che necessità di essere ascoltato e di ascoltare qualcosa per trovare un senso, e accorgersi che vi è qualcuno la cui voce è più significativa, il cui ascolto dipende dal mio volere. Non perché questo sia una cosa da bigotti bacucchi, al contrario, è la capacità di prendere in mano la propria vita e realizzare le proprie capacità/talenti.
La Rivelazione che ascoltiamo e che siamo chiamati a vivere ci mostra la via della Salvezza, la via della Vita (non la via del Dolore). Siamo con-vocati all'ascolto, affinché ascoltando crediamo, credendo speriamo, sperando possiamo amare. E tutto, se lo vogliamo!

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