giovedì 30 ottobre 2008

Sul goal di Gilardino


Tratto dall'articolo di Michele Serra, Perché il calcio festeggia il gol fatto con la mano.

La mano di Alberto Gilardino non è la mano di Dio, ma non è nemmeno la mano del Diavolo: due modeste giornate di squalifica sono una pena di routine, commisurata a un "reato ambientale" (quello di carente lealtà sportiva) che di straordinario non ha proprio niente, per quanto è diffuso e soprattutto per quanto è accettato.
Ma il giudice sportivo - come molti giudici di questo paese - non è l' interprete più applaudito della "volontà popolare". Nelle cose del calcio e non solamente in quelle, l'idea che l'onesto sia un sognatore, e il furbo un pragmatico, ha le ali ai piedi. Lo so, siamo nel bel mezzo del luogo comune sugli italiani eticamente disinvolti, ma spesso i luoghi comuni germinano da sconsolanti evidenze: quanti tifosi, di qualunque squadra, sopporterebbero di perdere una partita perché uno dei loro eroi in maglietta confessa all' arbitro che il gol era irregolare? Chi salverebbe l'eventuale onesto dalle accuse di autolesionismo, di stupido eccesso di zelo, se in ogni piazza d' Italia c' è un modo diverso per dire la stessa cosa: pirla, ciula, fesso, mona, bischero.
La maldisposta opinione pubblica europea considera i calciatori italiani i più simulatori del pianeta, magari alla pari con altre anime latine come i sudamericani. Ruzzoloni recitati in area di rigore, gomitate di poco conto trasformate in colpi mortali, l'arbitro visto come un avversario da raggirare e mai come un' autorità da aiutare. Lo sputo di Totti e la testata di Materazzi, ci piaccia oppure no, sono in copertina nella chanson de geste del calcio quadricampione del mondo.
Il caso Gilardino (che durerà tanto quanto le due giornate di squalifica, cioè un batter di ciglia) non arriva dallo speciale malanimo di un atleta del quale tutti parlano bene, ma dall'assuefazione, dall'abitudine, dal "così fan tutti" che è da sempre, in ogni epoca e ad ogni latitudine, l'arma letale contro ogni esame di coscienza. Dall'idea che niente di così grave, in fondo, ci sia nel darsi un "aiutino", ghermire al volo l'attimo giusto per sgambettare la sorte, farla franca perché l'arbitro e i suoi assistenti non hanno visto, e l'unico testimone della scorrettezza commessa sei tu, il suo autore. La prova televisiva, a partita chiusa, e le domande insistenti dei cronisti, e il dibattito quasi sempre nervoso, quasi mai sereno, sono una conseguenza sgradevole ma arrivano solo a risultato acquisito, dopo la doccia, magari insieme al rincrescimento. Ma in campo, dove quello che si vede è l'istinto, è lo spirito profondo, la verità agonistica è un' altra: è la foga che porta a sorvolare sulle proprie colpe e a ingigantire a dismisura quelle degli altri, come nel gesto (sportivamente odioso, e mai punito) di invitare l'arbitro ad ammonire l'avversario. Eppure l'agonismo, per esempio nel calcio britannico dove ci si spolmona fino alla sincope, è anche altrove ottenebrante, almeno in potenza. Ma quasi mai sfocia nel colpo di mano, nella furbata, neanche la furbata istintiva, diciamo preterintenzionale come quella di Gilardino.
Grazie al satellite è diventato più semplice seguire i campionati stranieri e fare i paragoni. Arbitrare, lassù, è più semplice, le botte e i colpi bassi ci sono, ma manca quel contorno melodrammatico e attoriale che qui da noi spesso si prende la scena per intero. Manca quel tocco di leggera isteria, di fanatismo di fazione che da noi complica maledettamente le cose (vedi anche la politica, che a proposito di slealtà nei confronti dell' avversario è una palestra insuperabile).
Il buon Gilardino è sicuramente convinto della venialità del suo peccato - ammesso che lo consideri tale - e il calcio nel suo insieme pratica il vittimismo e l'autoassoluzione come il solo schema tattico che mette tutti d' accordo. Luciano Moggi, appena quattro anni dopo uno scandalo che pareva far sprofondare agli inferi il calcio tutto intero, gode già di una discreta fama di capro espiatorio e di perseguitato: molti ritengono che fosse solo un furbo in eccesso. Figuratevi che scandalo può essere un gol di mano.

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