mercoledì 22 aprile 2009

Sulla sua scia (per ora riguarda noi)

Nel percorso di fede, un passo importante è capire con cosa si ha a che fare e quanto e perché riguarda anche la nostra vita. Tralasciando ogni tipo di racconto storico-esegetico, che si impernia sulla centralità della resurrezione come prova della fedeltà di Dio, per noi è più interessante trattenere quanto riguarda immediatamente noi: tutto il resto può essere sospeso, ora indaghiamo solo con la nostra ragione e col nostro cuore.

Il percorso che rivela la fede di Cristo è quello che conduce alla passione e alla croce. Se ci interessiamo solo della parte storica di Gesù, possiamo notare due passaggi decisivi: la preghiera nel Getsemani (Marco 14, 32-42) e la crocifissione e la morte (Marco 15, 29-37). Ci interessano perché mostrano fino a che punto è possibile stabilire un rapporto con il Padre e, soprattutto, che la fede è una relazione.
Primo, fino a che punto: fino al punto più profondo. Possiamo notare l'agonia di Gesù, cioè un sentimento di angoscia e dolore misto alla disposizione a lottare. Secondo, proprio in quanto "agonica", la fede è un rapporto di incontro (poi possiamo scegliere di starci, ma intanto lo riconosciamo...). Gesù non evidenzia la lontananza di Dio, ma uno starci di entrambi, anche di fronte ad un compimento angosciante (eppure c'è chi sperimenta l'angoscia nella propria vita: alcuni si accorgeranno che anche lì si può incontrare il Signore). Il riconoscimento non è un'adesione passiva (non è un obbedire ad un comandamento), ma il compimento della propria vita. Gesù nel Getsemani si chiede se questo compimento sia possibile evitando la passione, evidenziando il rapporto personale che Dio stabilisce con ogni uomo, a partire dal Cristo. Sulla croce, la recitazione del "Dio mio perché mi hai abbandonato" (Salmo 22) - che è una lettura, chiaramente, post-pasquale, consapevole cioè della resurrezione - è l'ultimo gesto possibile di speranza e di attesa, laddove l'uomo è privato di tutto. Per questo non è diverso dal "Padre nelle tue mani affido il mio spirito", perché questo, gesto estremo della fede, è realmente avvenuto.

Questa esperienza di Gesù è la prova della totalità della fede, di chi ci sta fino in fondo, consapevole (con i tanti dubbi del Getsemani e della croce, e chissà quanti altri nella salita al Golgota) dell'amore totale di Dio. Gesù è sempre fedele, e questo passo ha permesso a quella storia di maledizione (maledetto colui che penderà dal legno, Deuteronomio 21, 23) di essere storia di salvezza per il mondo.

Noi siamo salvati per quella fede, che può essere anche la nostra fede. Ovviamente, lo ricordo ancora, essere persone di fede non significa dover compiere quegli stessi atti, non significa dover morire in croce o perdere la propria vita, ma realizzare se stessi nella fiducia di Dio.
Capendo questo ci avviciniamo di buona lena alla professione di fede.
Poi ci sono tante altre cose. Quella fede è importante nella nostra vita perché, da grazia donata, a cui noi dobbiamo consentire, trasforma il nostro vivere in quanto ci permette di stabilire una relazione che ci salverà dalla morte e che muterà la nostra vita tanto che le relazioni del mondo (quelle che daranno senso del nostro vivere), improntate sul confronto (facile, più spesso difficile) sempre ricco con Dio: un modo in cui ognuno di noi (l'io) non si appropria dell'altro (il tu) lasciandosi determinare dal nulla.
Se è vero che ci si può arrivare anche per vie traverse, dobbiamo pensare che a noi questo è stato donato e, rifiutarlo (che vuol dire non impegnarsi; il riconoscimento arriverà più avanti, ora ci è chiesto di impegnarci) ci mette in contraddizione con la volontà di realizzare noi stessi.

Altri due punti interessanti sono: la libertà e il rapporto con gli altri. Riguardano la nostra vita, ne parleremo.
E' tutto chiaro???

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